| MC | OTTOBRE 2023 o 38 sione al popolo, anche per ottenere aiuti spirituali e materiali. Adesso l’Europa è diventata terra di missione ad gentes. Anche la rivista è cambiata: parlava del mondo della missione alle persone in Italia. Ora di cosa parlate? Anche della missione qui. Inoltre il mondo è cambiato e ha bisogno di altri modi di comunicare, messaggi veloci e corti. Un altro grande cambiamento è l’attenzione a non avere più strutture pesanti, perché non abbiamo più persone che le riempiono». Ci dica, secondo lei, qual è un punto di forza e uno di debolezza dei Missionari della Consolata oggi. «Come punto di forza direi che abbiamo un istituto stabile, che rispecchia quello che il fondatore voleva che fosse. Dal 1960 siamo rimasti in modo costante a circa 900 missionari. È forte perché, oltre agli anziani, abbiamo più del 50% che sono giovani. Infatti i confratelli di origine africana sono 520, e sono in maggioranza giovani. È dal 1970 che si sono iniziate a cercare vocazioni in Africa, e c’è stato un boom. Abbiamo, inoltre, una grande diversità culturale. Dall’età di 22 anni, i nostri giovani nelle comunità formative stanno insieme ad altri giovani provenienti da tutto il mondo. L’interculturalità è un valore importante nella nostra società. Come punto di debolezza, invece, direi l’accompagnamento dei missionari. Negli anni passati essi erano formati in Italia e conoscevano bene carisma e gli insegnamenti del fondatore, e dunque li trasmettevano bene a noi studenti africani. In seguito la formazione è stata presa in mano da confratelli di altre culture, ed è mancato qualcosa nel passaggio delle conoscenze. Dal 2011 anche la leadership è cambiata, i primi africani hanno cominciato ad essere superiori regionali o delegati, e anche in questo forse è venuto a mangare qualcosa dello stile originario. Un altro aspetto che vedo è questo: siamo in tante missioni che non sono più di ad gentes. Abbiamo presenze belle, di accompagnamento delle persone nella vita quotidiana, ma nel nostro carisma parliamo di andare verso i non cristiani. Dobbiamo allora definire bene cos’è l’ad gentes per noi. Prima si sapeva bene dove erano i non cristiani. Le sfide che il mondo ci propone possono diventare opportunità per dei missionari che sognano e che offorno la loro vita per dare una risposta giusta». Si aspettava di essere eletto superiore generale? «Non ero pronto a questo. La prima cosa che ho fatto è stata cinque minuti di silenzio ma anche di pianto. Mi sono trovato in difficoltà quando mi hanno chiesto se avrei accettato. Mi sono detto, faccio la mia parte, non sono da solo, ci sono i confratelli. Niente è impossibile, ci vuole il tempo affinché l’impossibile diventi possibile. Io vengo da una etnia che non ha un re, ma ha capifamiglia che formano un consiglio degli anziani. Secondo me per tutte le cose è necessario coinvolgere gli altri missionari nelle loro responsabilità, così tutti i membri dell’istituto partecipano con la loro vita e diventiamo un fuoco che accende gli altri fuochi (Lc 2,49)». Marco Bello Qui: padre Clement Kinyua Gachoka con suor Jane Muguku. | Sotto: un momento assembleare dell’incontro Imc-Mc (family workshop), 3 giugno 2023. “ Siamo stabili, e abbiamo una grande diversità culturale. ossier © Julio Caldeira
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=