Missioni Consolata - Ottobre 2023

Ci sono alcuni artisti dei quali diciamo che fanno arte con la loro stessa vita, con le loro scelte, con il loro stile personale. Succede anche nel mondo biblico che alcuni profeti annuncino il volto di Dio con le proprie azioni. Lo fanno Geremia ed Ezechiele, che a volte si mettono a fare gesti strani, enigmatici, per introdurre le loro predicazioni. Ma, secoli prima di loro, succede in modo straordinario e sconvolgente anche a un altro profeta, forse meno noto ma che affascinerà molto i redattori biblici. Un libro complicato Il profeta Osea ha il privilegio di un libro dedicato interamente a lui. Un libro, però, che è discretamente difficile. La sua parte più ampia, dal capitolo 4 in poi, è in poesia, come succede spesso alla profezia ebraica, e allude, in modo a volte stringatissimo, a vicende che gli ascoltatori devono conoscere bene. Come succede alle canzoni contemporanee, non solo non c’è bisogno di spiegare tutti i particolari, ma addirittura è meglio mantenere un po’ di ambiguità, perché siano gli ascoltatori a completare il discorso, facendolo così più proprio. Osea vive e profetizza nel regno di Israele del Nord, intorno alla capitale Samaria e al suo tempio di Betel, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. È un periodo delicato, che si chiude nel 721 a.C. con la distruzione del tempio e l’annessione dello stato allo spietato impero neoassiro. È probabile che prima della distruzione del tempio alcuni sacerdoti e scribi siano riusciti a fuggire a Gerusalemme, portandosi dietro tradizioni, storie e anche manoscritti, tra cui forse anche i capitoli dal 4 al 14 del nostro libro, che in effetti in alcuni passaggi sembra scritto in una lingua strana e non sempre comprensibile in tutti i dettagli. Quando si fa un trasloco, però, anche in situazioni molto meno drammatiche di quelle vissute dagli antichi scribi, si coglie l’occasione per liberarsi di ciò che non interessa più, e si sceglie di trasportare solo ciò che si ritiene ancora prezioso. Evidentemente, il libro di Osea è tra i tesori che i fuggiaschi samaritani non vogliono perdere e, una volta arrivati a Gerusalemme, ne spiegano il valore ai sacerdoti locali. Qualcuno, per renderlo più comprensibile, aggiunge un’introduzione in prosa, in un linguaggio che è molto più facile da capire di quello del testo in poesia. Un matrimonio difficile «Va’ e prenditi per moglie una prostituta» (Os 1,2). Così inizia il libro di Osea, non proprio un grande punto di partenza per un matrimonio, tanto più in un mondo come quello ebraico ossessionato dalla purità anche nei legami coniugali perché ritiene che i figli non sono semplicemente i discendenti dei genitori, ma sono iscritti in una trasmissione della benedizione divina che risale fino ad Abramo. Offuscare quella linea di trasmissione significa, in ultimo, offendere anche Dio. Eppure è Lui a chiederlo al profeta di sposare una prostituta spingendolo a vivere la propria vita in un modo apparentemente lontano dai precetti divini. | MC | OTTOBRE 2023 32 di ANGELO FRACCHIA biblista COSÌ STA SCRITTO + UOMINI E DONNE DEL PRIMO TESTAMENTO CAMMINATORI DI SPERANZA Osea, profetizzare con la vita Fin dall’inizio, però, si chiarisce che la posta in gioco non è «soltanto» la vita di una persona, infatti il versetto continua così: «perché il mio paese continua a prostituirsi» (Os 1,2). Insomma, il testo ci suggerisce subito che il matrimonio di Osea è un’immagine del rapporto di Dio con il suo popolo. Al profeta viene chiesto di sposare una prostituta perché è Dio stesso a trovarsi sposato a un popolo infedele. Quello che farà Osea sarà un’immagine dell’intenzione divina. Il profeta annuncia il messaggio divino con la propria stessa vita. Quell’intuizione di partenza prosegue nei figli, che ricevono nomi certo non troppo beneauguranti: il primo viene chiamato Izreèl (Os 1,4), come la valle nella quale fu distrutto dai filistei l’esercito ebraico di Saul (1 Sam 29,11; 2 Sam 4,4), o in cui si trovava la vigna che un re desiderava e che la sua regina, Gezabele, riuscì a strappare al legittimo proprietario facendolo ingiustamente condannare a morte (1 Re 21) e dove la stessa Gezabele venne uccisa e abbandonata ai cani (2 Re 9). Non un posto di buon auspicio, insomma, ma un luogo in cui si sono verificati episodi di ingiustizia che Dio vuole vendicare (Os 1,4-5), proprio come ci aspetteremmo da un Dio severo e giusto. Dopo Izreèl nascono poi anche Non-amata e Non-popolo-mio (Os 1,9). Un matrimonio improbabile segnato da rapporti difficili anche con i figli, immagine di un Dio che evidentemente non è contento del suo popolo e che inizia a pensare di doverlo punire. D’altronde, è diritto e, sostanzial-

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