Missioni Consolata - Ottobre 2023

© Piero Battisti 19 agricoltura | lavoro | integrazione Questo è il risultato ottenuto dall’«Accademia della vigna», la prima del settore vitivinicolo italiano. Nata nel settembre 2022, essa si occupa di inserimento di manodopera nelle più prestigiose aziende dell’albese, territorio baciato da Dio dove il lavoro ha trasformato la «malora» raccontata nel 1954 da Beppe Fenoglio in una miniera d’oro a cielo aperto, patrimonio Unesco dal 2014. È una bella storia, fatta di riscatto e integrazione, ma non solo. Chiunque tenti di limitare il lato oscuro dell’economia attuale è spinto a vedere da vicino, a vivere quasi, gli aspetti che si vorrebbero cambiare o mitigare: è un processo faticoso perché porta a diventare parte di un meccanismo che appare monolitico. Un (piccolo) esempio per un nuovo inizio Gli uomini che giungono all’Accademia, in gran parte africani, ma non mancano gli italiani, spesso sono stati vittime di varie forme di caporalato. Grazie a una complessa rete di istituzioni locali, aziende illuminate, il Consorzio di tutela del Barolo e tantissimo lavoro, riescono a trovare un nuovo inizio. È il cosiddetto «diritto all’aspirazione», teorizzato dall’antropologo Arjun Appadurai, un diritto che spinge tanti a migrare e a esporsi a molti rischi, tra i quali quello di venire sfruttati. Come se l’integrazione dovesse passare prima attraverso delle forche caudine a cui non ci si può sottrarre: tutte le migrazioni hanno questa caratteristica quale parte di un processo doloroso. Dieci assunzioni sono un grande risultato per l’Accademia della vigna, ma rimangono una goccia nel mare. Quando sei di fronte a questo fenomeno lillipuziano la questione diventa molto più complessa. In un tempo in cui la denuncia delle ingiustizie è depotenziata dall’assuefazione, raccontare un fatto, una situazione esemplare è lo strumento che rompe lo schema e mostra un’altra realtà possibile, nell’ambito di un ecosistema umano ed economico complicato. Dove non c’è esempio da indicare, e c’è solo denuncia, la realtà rimane immobile. Frontiere Le vigne sono bellissime. Le colline appaiono ricamate dai lunghi filari che in ogni stagione portano un colore diverso: il verde intenso della primavera, il bianco innevato dell’inverno e il rosso acceso del periodo della vendemmia. Tanta bellezza, tanto lavoro, tanta fatica. Siamo abituati al racconto delle frontiere esterne, che spesso raggiungono il (dis)onore della cronaca per la violenza che le caratterizza. Siano esse nel mare Mediterraneo o lungo la rotta dei Balcani, il loro scopo è quello di selezionare gli esseri umani che vogliono migrare: di fatto ormai entrano solo coloro che possono pagare profumatamente un trafficante. È la «nostra» guerra, che combattiamo con ampio uso di strumenti bellici e milizie. Ma una volta che i migranti riescono a entrare in Italia, il loro viaggio continua fino a raggiungere le frontiere interne: quelle della burocrazia malata e del lavoro irregolare, in primis. Per questo una vigna, come una catena di montaggio, può essere una frontiera, e basta un attimo “ Con l’Accademia della vigna uomini partiti da lontano possono ritrovarsi a curare uve tra le più pregiate al mondo.

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