Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2023

La foto del bimbo in mezzo ai cavoli (a destra), non si sa bene se scattata per evidenziare quanto sia piccolo lui o quanto siano grandi i cavoli, pur apparsa più volte su questa rivista, mantiene sempre la sua innegabile simpatia. E come ogni foto di oltre cento anni fa, porta in sé una storia. Il bambino dei cavoli, presto battezzato Giacomino in onore del canonico Giacomo Camisassa, aiutante e amico del beato Giuseppe Allamano, si chiama Marzuk (che significa il beniamino) e ha più o meno quattro anni quando schiavisti somali provenienti dal Benadir (zona della Somalia vicino a Mogadiscio, allora colonia italiana) lo rapiscono dal suo villaggio nel sud dell’Etiopia per venderlo nella penisola arabica. Con lui sul dhow (la grande barca a vela tipica di quei mari) ci sono altri due bambini un po’ più grandicelli, Selmi e Angior, e diverse ragazze. Ma quel dhow non arriva in Arabia: una cannoniena italiana che pattuglia l’Oceano Indiano per bloccare i negrieri, infatti, lo intercetta e libera tutti gli schiavi. Emilio Dulio, governatore del Benadir, affida i tre bambini al cavalier Giulio Pestalozza (1850-1930), console italiano a Zanzibar (da cui dipende Mombasa) che li tiene per oltre un anno, ma poi, dovendo rientrare in Italia per fine servizio, li consegna a padre Filippo Perlo, giunto a nella città portuale per accogliere la terza spedizione di missionari della Consolata (quattro preti, uno studente di teologia e un fratello) e la prima delle suore Vincenzine del Cottolengo (otto in tutto), arrivate a Mombasa il 13 maggio 1903. Dal porto i nuovi arrivati raggiungono in treno la casa procura nel villaggio di Limuru, la prima stazione dopo Nairobi e la più vicina (si fa per dire) alla missione di Fort Hall (in seguito Murang’a) dove è in costruzione la casa per le suore. Il 31 maggio è la festa di Pentecoste. È l’occasione ideale per battezzare il piccolo Marzuk. Padre Filippo Perlo scatta prima una foto dei tre nei loro abiti da «schiavetti» (foto qui sotto) e poi fa rivestire il suo figlioccio e gli altri due con un bell’abito battesimale bianco. Quel giorno Marzuk diventa Giacomino, mentre gli altri due, di 8 e 9 anni, continuano la loro preparazione catechistica per essere battezzati più avanti a Murang’a con i nomi di Giuseppe (come l’Allamano) e Agostino (come il cardinal Richelmy di Torino). Le suore, a fine giugno, entrano finalmente nella loro nuova casa, costruita secondo le regole di sicurezza imposte dagli inglesi. I tre ragazzi vanno con loro, e Giacomino diventa davvero il «beniamino» di tutti. Sveglio, svelto e intelligente, parla l’italiano e anche un po’ di piemontese che ha imparato dalle suore ancora prima del kikuyu e dell’inglese. Attivo e attento, si presta ai piccoli servizi, recita le poesie nelle | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 66 di GIGI ANATALONI KENYA DA SCHIAVO A PRIMO MISSIONARIO DELLA CONSOLATA AFRICANO Marzuk, il beniamino Il 13 maggio 1903, arrivando al porto di Mombasa, Kenya, la terza spedizione dei Missionari della Consolata e la prima delle Vincenzine del Cottolengo ricevono un dono speciale: Selmi, Angior e Marzuk, tre piccoli schiavi appena liberati. Qui la storia del più piccolo. ©AfMC / Filippo Perlo - lastra n. 6

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