Samuele è al suo servizio nel tempio, luogo nel quale vive e dorme. Una notte sente una voce che lo chiama. Si alza e va subito da Eli, che lo rimanda a dormire. Quando però il ragazzo va da lui una seconda e una terza volta («Eccomi: mi hai chiamato?»), Eli intuisce che sta succedendo qualcosa che lui, sacerdote, non aveva previsto e forse neppure desiderava. Pur sorpreso, indica a Samuele la strada da percorrere in docilità e attenzione: «Se succederà ancora, risponderai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”» (1 Sam 3,10). Anche Eli, stimolato dall’atteggiamento di Samuele, si mette in ascolto e accoglie la novità, pur intuendo che questa comporterà poi l’estromissione della sua famiglia dal tempio. Si mette a disposizione di un progetto che non lo coinvolge più (3,17-18). Eli è il «vecchio» che deve essere superato, e, anziché abbarbicarsi al suo potere, sa fare spazio a ciò che sta crescendo. Intorno al fiducioso Samuele cresce la fiducia. Il gioco dell’affidarsi In effetti il ruolo che Eli ha ricoperto e che sognava di trasmettere ai figli viene invece assunto da Samuele: è come se il bambino che non sarebbe dovuto neppure venire alla luce fosse chiamato a diventare la nuova, definitiva guida di un popolo ancora piccolo, riprendendo l’antica tradizione di essere un «giudice», ossia un capo politico con motivazioni religiose, come all’inizio della storia di Israele in Canaan (1 Sam 7). Dio, in seguito, prenderà di nuovo AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | 33
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