un popolo disprezzato. E dopo essere cresciuto alla corte del faraone, inizia a fare il pastore per il proprio suocero (Es 3,1). L’incontro e la chiamata È qui che accade l’incontro che gli stravolge la vita. Mosè vede da lontano un rovo che brucia ma non si consuma, e decide di avvicinarsi a controllare. Inizia la vicenda della chiamata dell’uomo più importante dell’Antico Testamento. Sarà qualcosa di stravolgente e unico? Potrà insegnarci qualcosa? Di certo possiamo dire che tutto inizia da un Dio che inscena qualcosa di straordinario (un fuoco che non consuma), ma perché la strordinarietà del segno venga colta c’è bisogno di attenzione e disponibilità da parte di Mosè, che vede il fenomeno e decide di non tenersene fuori, ma di avvicinarsi a vedere (Es 3,2-3). Qui Dio lo chiama, svelandogli di aver visto l’oppressione del suo popolo e di voler intervenire. E inizia uno dei dialoghi più imprevisti e sorprendenti di tutta la Bibbia, tra Dio e un uomo. Il Signore condivide, infatti, con il pastore improvvisato i propri piani: Mosè farà uscire il popolo di Dio dalla sua schiavitù e lo condurrà in una terra che verrà liberata dagli attuali occupanti, anche se quel popolo neppure si ricorda di essere stato legato in passato a quello stesso Dio. In situazioni del genere altri personaggi biblici si mettono entusiasticamente a disposizione. Mosè no. La prima obiezione è che gli ebrei chiederanno come si chiama il Dio che vuole liberarli. È l’occasione per una delle definizioni divine più affascinanti e sfuggenti: «Sono (ma anche ero, sarò) ciò che sono (ero, sarò): tu dirai agli israeliti che “Io sono (ma anche ero, sarò)” mi ha mandato a voi» (Es 3,14). Sfugge da qualunque definizione, si limita a dire che ci sarà, che resterà in relazione, che il popolo MAGGIO 2023 | MC | 33
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