Ci sono personaggi biblici che ci costringono a spiegare chi sono, per quale motivo sono importanti e dove andarli a rintracciare. Altri, invece, sono molto conosciuti e si ergono in tutta la loro maestosità spaventandoci quasi per quanto sono solenni e centrali. Tra questi spicca senza dubbio Mosè, colui che parlava faccia a faccia con Dio come con un amico (Es 33,11), colui che può riassumere in sé tutta la legge («Mosè e i profeti» è una sintesi dell’Antico Testamento utilizzata dallo stesso Gesù in Lc 16,29). Raccontare tutto ciò che si dice nella Bibbia di questo uomo centrale è impossibile. Ma per suggerire che cosa la sua vicenda possa insegnare anche a noi e al nostro cammino di fede, può essere sufficiente concentrarci sulla sua chiamata, e poco di più. Doppio traditore? Le vicende della vita di Mosè sono narrate in gran parte nel libro dell’Esodo (che abbiamo approfondito nelle 20 puntate di questa rubrica durante il 2021 e 2022, ndr). Da questo veniamo a sapere della persecuzione scoppiata contro gli ebrei da parte del faraone egizio, che avrebbe richiesto alle levatrici di eliminare alla nascita tutti i maschi (Es 1). Mosè, dapprima nascosto dalla madre, viene poi affidato alle acque del Nilo e salvato dalla figlia del faraone, la quale chiamerà ad allevare questo piccolo ebreo, senza saperlo, proprio la sua madre naturale (Es 2). Fin qui sembrerebbe una storia avventurosa e non senza precedenti. Tutti nell’antichità sapevano che era stato salvato dalle acque, allo stesso modo, anche Sharru-kin, chiamato da altri Sargon, ritenuto il fondatore e il più grande re dell’Impero accadico intorno al XXIII secolo a.C. Ma il mondo biblico ci stupisce sempre un po’. Lungi dall’indulgere a toni celebrativi o agiografici, la Bibbia, come sempre, ci presenta una vicenda, quella di Mosè, che proprio perfetta non è. Ci viene narrato, infatti, che questo ebreo cresciuto alla corte del faraone, dopo essere uscito a vedere che cosa accadeva nel regno, incontra una guardia egizia che percuote un ebreo, e la uccide (Es 2,12). Anche se il Dio degli ebrei aveva vietato di uccidere ben prima della legge che avrebbe dato loro sul Sinai (Gen 9,5-6), nelle tradizioni umane un gesto di questo tipo è normalmente considerato eroico. Però Mosè non legge nel proprio gesto un atto di riscatto o l’occasione per acquisire un ruolo accanto ai suoi fratelli, anzi, al contrario, lo nasconde, e, quando il giorno dopo, scopre che in giro si sa dell’omicidio (Es 2,13-14), fugge nel deserto. Qui, nei pressi di un pozzo, incontra la sua futura moglie, Sipporà. Questa è figlia di un sacerdote, Ietro, il che potrebbe sembrare uno sviluppo nobilitante per Mosè, ma di fatto si tratta di un sacerdote di una tribù di pastori seminomadi, i Madianiti, stanziata nelle zone più povere del deserto. Lo stesso Ietro, peraltro, non deve essere in una situazione più florida dei suoi conterranei, se al pascolo deve mandare le proprie figlie nubili. Insomma, l’inizio della vicenda di Mosè è segnata da un omici- | MC | MAGGIO 2023 32 di ANGELO FRACCHIA biblista COSÌ STA SCRITTO + UOMINI E DONNE DEL PRIMO TESTAMENTO CAMMINATORI DI SPERANZA Mosè, in faccia a Dio dio, una fuga e una «sistemazione» in un contesto di emarginati poveri e insignificanti. Tradisce chi lo ha allevato, senza unirsi ai suoi consanguinei; uccide e non se ne pente, ma ha paura delle conseguenze; si accasa in un contesto nobile, ma di
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