«Nelle grandi tende che li ospitano - spiega Andrea Bianchessi di Avsi, Ong italiana che da anni lavora nel campo - le condizioni di vita non sono ottimali. Una volta che hanno ottenuto il riconoscimento di rifugiati, viene loro assegnato uno spazio all’interno del campo e vengono dati loro strumenti e materiali per costruire abitazioni più confortevoli. Nutrire Dadaab Per il cibo, i rifugiati possono far conto su quello distribuito dal Programma alimentare mondell’diale, un’agenzia Onu. «Ricordo le lunghe code per la distribuzione delle razioni sotto il sole, in mezzo alla polvere - osserva Angelo Pittaluga, ex direttore del Jrs Kenya (Jesuit refugee service, Ong di emergenza dei gesuiti, ndr) e ora responsabile dell’advocacy del Jrs -. Sono distribuzioni mensili che, nel tempo, si sono ridotte a causa della contrazione dei fondi a disposizione delle organizzazioni internazionali. La nuova emergenza umanitaria in Europa ha drenato fondi per l’Africa e a pagarne le spese sono state le popolazioni più svantaggiate come quelle che vivono nei campi profughi». Hussein Ibrahim Mohamed è stato tra i primi ad arrivare nel 1992. Ora, in qualità di operatore comunitario, sta aiutando i nuovi arrivati ad ambientarsi. «Queste persone si trovano in una situazione difficile - ha detto in un colloquio con i responsabili dell’Unhcr -. Hanno viaggiato molto lontano. Così ho deciso di chiedere in giro dei contributi, in denaro o in vestiti. Ho una parte del denaro donato e ho intenzione di comprare delle lenzuola di plastica per loro». Aiuti «distratti» A Dadaab, l’Unhcr fornisce alle famiglie assistenza in denaro, acqua potabile e strutture igieniche, oltre a servizi mirati per i più vulnerabili, come i bambini malnutriti. Le risorse sono però limitate. «Per rispondere a questa situazione stiamo utilizzando solo le scarse risorse che abbiamo per i nostri programmi regolari - ha dichiarato Martha Kow Donkor, responsabile dell’Unhcr per la protezione delle comunità -. I bisogni sono molto elevati e stiamo facendo appello ai donatori affinché forniscano maggiori finanziamenti». Attualmente i principali donatori sono gli Stati Uniti, l’Unione europea e i paesi del Golfo Persico, che garantiscono abitualmente il 40% circa degli 80-100 milioni di dollari necessari per gestire Dadaab ogni anno. «I contributi sono però precipitati drasticamente nell’ultimo anno, con il mondo distratto dalla guerra in Ucraina - ha detto Guy Avognon, capo delle operazioni dell’agenzia per Dadaab in un’intervista al Wall street journal -. Quest’anno, si prevede che le donazioni copriranno solo il 27% dei 102 milioni di dollari necessari». Di fronte alla mancanza di tutto scatta, però, una gara di solidarietà. Khadija ha raccontato di essere stata accolta a braccia aperte dai rifugiati che già vivono a Dadaab, compreso un parente che le ha costruito un rifugio. «Ma non abbiamo cibo, né un riparo, né latrine», ha detto. Lo scorso anno il sovraffollamento e la mancanza di strutture igieniche nel campo hanno contribuito a un’epidemia di co- | MC | MAGGIO 2023 18 KENYA © Tony Karumba / AFP
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=