| MC | amico MARZO 2023 gua swahili) gestita aWamba dalle sorelle indiane, perché è stata, forse, l’esperienza emotivamente più forte dellamia vita. Le suore si occupano di ragazzi con disabilità fisiche ementali. I più fortunati (pochi) riescono a stare seduti sulla sedia a rotelle e a tenere oggetti inmano, ma la maggior parte è costretta a letto. Bernadette, sorella di padre Daniel e infermiera di professione aWamba, ci ha spiegato che, normalmente, gli ospiti della Huruma home sono persone abbandonate da famiglie troppo povere per occuparsi di loro, e che, quandomuoiono, vengono seppelliti dalle suore, uniche persone che di ricorderanno di loro. Quel giorno, sono uscita da lì profondamente sconvolta: mi facevamale vedere quelle persone che non potevano nemmeno alzarsi da un letto; ma, forse ancora di più, sentirmi, per la prima volta nellamia vita, totalmente impotente. Fino alla sera non sono riuscita a parlare con nessuno di come avevo vissuto quella visita. Nonostante ciò, ho visto che Bernadette aveva intercettato il mio turbamento. D’altronde, chi meglio di unamamma di quattro figli e nonna di due nipoti può capire se una persona giovane ha un turbamento nel cuore? BERNADETTE Bernadette è stata il nostro punto di riferimento per ogni cosa durante i giorni trascorsi a Wamba: ci accompagnava nei nostri spostamenti e ci ha ospitati a casa sua per tutti i pasti. Abbiamo conosciuto due dei suoi quattro figli, Lavenda e John, e i nipotini, Laureen e Francis. Anche dal contesto casalingo di Bernadette abbiamo imparato qualcosa sulla cultura locale: in Africa, se sei un ospite, non è necessario che tu chieda il permesso per prendere qualcosa da mangiare, basta che tu lo prenda direttamente. Ricordo bene quando Bernadette ci preparava il chapati e l’ugali (un tipo di polenta bianca) ed era tutta contenta nel vedermi mangiare con lemani o fare il bis. Mi divertivo tantissimo ad appallottolare l’ugali, accompagnandolo con verdure e carne. Per non parlare del chapati, molto più buono della nostra versione italiana, la piadina (nonme ne vogliano i miei compatrioti). Capirete, quindi, come il cosiddetto «mal d’Africa» abbia iniziato a farsi sentire già da quando abbiamo lasciato Wamba e, quindi, la casa di Bernadette. Anche lì ci siamo sentiti come in una famiglia, e noi wazungu delle vere e proprie «celebrità». A prova di ciò, le due o tre volte al giorno che andavamo a casa di Bernadette, anche se eravamo in auto, i bambini ci riconoscevano da lontano e accorrevano in massa per un saluto, una caramella, una carezza sulla nostra pelle o sui lunghi capelli. ACCOLTI Durante il tragitto daWamba a Nairobi siamo passati attraverso la savana. Nei viaggi precedenti, di solito eravamo noi a salutare i bambini dalle auto, e loro ricambiavano il gesto. Invece, durante il viaggio di ritorno, per ben due volte, gruppi diversi di bambini ci hanno salutato per primi, facendosi trovare sul ciglio della strada, a parecchi metri di distanza prima che passassimo. Come se sapessero che stavamo per lasciare il Kenya e volessero darci l’addio, facendoci sentire, ancora una volta, accolti, coccolati, amati. In aeroporto, mentre ancora ricevevo i saluti finali dalle persone che avevamo conosciuto durante la nostra permanenza in Kenya, padre Daniel mi ha detto: «Sei stata voluta bene!». Credo sia questo il senso della missione: accogliere e lasciarsi accogliere dall’altro, nell’Amore. Giulia De Gennaro Missione & Missioni 80
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