Missioni Consolata - Marzo 2023

MARZO 2023 | MC | 59 messi in moto per mandare aiuti: denaro, cibo, medicinali, vestiti. Molte persone si sono messe in viaggio per dare una mano. Penso, ad esempio, a Clara da Torino. Un’infermiera che ha preso un mese di ferie per stare qui con noi; ma anche a una dottoressa dal Sudafrica, e poi un torinese che lavora in Canada. Tra i tanti gruppi, mi viene in mente l’associazione Eskenosen, fondata da Mauro Magatti e Mino Spreafico: per l’inverno hanno lanciato la campagna “Scaldiamo Charkiv” (città a Est, poco distante dal confine russo), raccogliendo fondi per fornire stufe alle abitazioni. Hanno lavorato bene, e la risposta è molto buona. Poi, come fanno anche altri gruppi, hanno accolto molti ucraini con progetti di inserimento nel territorio in Italia. Ecco, una cosa importante che non ho ancora detto è questa: attraverso di noi, tante persone sono arrivate in Italia e in altri paesi (cfr. MC 10/2022, ndr). Questo fa parte del nostro “essere link”, così come succede quando ci sono gruppi che raccolgono aiuti, ma poi non sanno a chi darli. Grazie alla rete di contatti che noi abbiamo in Ucraina possiamo garantire che tutti gli aiuti arrivano sul posto». Com’è andata dopo le prime settimane di emergenza? «Il flusso di ucraini in arrivo e le presenze hanno iniziato a diminuire. Molti lasciavano la Polonia per andare in altri paesi, o per tornare in Ucraina. Le persone rimaste hanno cercato un po’ di autonomia iniziando a lavorare. La pressione si è allentata e allora la nostra attenzione si è spostata dall’emergenza qui in Polonia all’Ucraina». Tra le persone accolte c’erano anche africani. «Sì. Città come Leopoli, Kiev, Charkiv, sono città universitarie con molti studenti stranieri. Con lo scoppio della guerra sono usciti dal paese anche loro. A Łomianki abbiamo avuto una famiglia nigeriana, due giovani con una bimba piccola. Lei era incinta. Sono stati ospitati dai nostri vicini di casa per qualche settimana. Ora sono in Germania». E famiglie miste ucrainerusse. «Sì: il tessuto sociale dei paesi ex sovietici prevede questo “mescolamento”. Non sorprende che in molte famiglie ci siano genitori, nonni o bisnonni di una o dell’altra nazione. Questa condizione delle famiglie rende ancora più difficile la comprensione del conflitto». I viaggi Nell’ultimo anno hai fatto quattro viaggi in Ucraina. «Esatto. Nel primo viaggio a fine marzo siamo stati sul confine. Siamo entrati in Ucraina a piedi, per metterci in coda con i migranti in attesa di passare in Polonia e per ascoltare i volontari. Era la fase in cui iniziavamo a spostare gli aiuti verso l’Ucraina. Vicino all’ufficio delle Pom dove presto il mio servizio, c’è un altro ufficio che si occupa degli aiuti per la chiesa polacca che si trova nei paesi dell’Est. Il suo direttore, don Leszek Krzyża, conosce bene l’Ucraina. Per cui, in forza della nostra amicizia, abbiamo messo assieme i suoi tanti contatti nel paese con i molti aiuti che riceviamo noi missionari dall’Italia e da altrove. I viaggi li abbiamo fatti assieme io e lui per capire a chi portare gli aiuti, cercando di non concentrarci in un solo luogo, ma di rispondere a tante richieste che arrivano da tutto il paese. Nel secondo viaggio, a luglio, siamo arrivati a Kiev, visitando tra l’altro anche quei luoghi come Bucha in cui sono avvenuti dei massacri. È stata un’esperienza molto forte che mi ha fatto toccare con mano la crudeltà di questo conflitto. Anche a novembre siamo tornati a Kiev, e poi, da Kiev siamo andati a Charkiv, la seconda città per grandezza dell’Ucraina, a soli 30 km dal confine russo. Lì ho visto il senso di insicurezza

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