Incontro con Sydney Possuelo ANCHE GLI INDIGENI SONO UOMINI Sydney Possuelo, esperto di indios isolati («sertanista», nel gergo tecnico), è stato presidente della FONDAZIONE NAZIONALE PER L’INDIO (FUNAI) e direttore del Dipartimento per gli indios isolati, da lui creato nel 1987. Durante il periodo di permanenza alla guida dell’organo indigenista, è stata riconosciuta l’area indigena degli Yanomami (1992). Per le operazioni di delimitazione fisica del territorio e il coordinamento delle operazioni di espulsione dei cercatori d’oro (i garimpeiros), il sertanista aveva scelto la MISSIONE CATRIMANI dei missionari della Consolata come uno dei suoi centri operativi. In quell’occasione, PADRE SILVIANO SABATINI ebbe modo di conoscerlo e apprezzare il suo operato, benché - fino ad allora - i rapporti dei missionari della Consolata con la Funai fossero sempre stati difficili. Per il suo impegno a favore dei popoli indigeni, Possuelo ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Tra questi, la medaglia al Merito indigenista che ha deciso di restituire nell’aprile scorso, perché la stessa onorificenza era stata conferita a Bolsonaro e ai suoi ministri. Sydney, qual è oggi lo stato di salute dei popoli indigeni in Brasile? «La situazione dei popoli indigeni del Brasile non è mai stata esaltante, ma con l’amministrazione Bolsonaro è drammaticamente peggiorata sul piano sanitario, della sostenibilità economica e ambientale e del diritto alla terra. L’ex presidente ha presentato in parlamento proposte di legge [dalla 191/2020 che prevede la legalizzazione dello sfruttamento minerario nelle terre indigene, al vecchio progetto 490/2007 conosciuto anche come “Marco temporal” che altererebbe i criteri per il loro riconoscimento, ostacolando l’espansione delle terre già delimitate] che, se fosse stato rieletto, avrebbero determinato un ulteriore arretramento dei loro diritti». Bolsonaro è stato sconfiitto. Pensi che ci saranno dei cambiamenti con Lula al governo? «Viste le premesse - creazione di un ministero dei popoli indigeni; leadership indigena della Funai; ripristino del Fondo per l’Amazzonia - ritengo che Lula possa determinare un cambiamento di rotta non solo per la questione indigena, ma anche per quella ambientale, perché non possiamo parlare dei popoli indigeni senza parlare di ambiente, da cui questi popoli dipendono. Sotto il governo Bolsonaro abbiamo assistito a una devastazione senza precedenti e a una nuova invasione delle terre indigene, da parte di madeireiros, garimpeiros, cacciatori e pescatori di frodo, fazendeiros e grileiros. Per citare il caso più eclatante, quello della Terra indigena Yanomami, a dicembre 2022 si stimavano più di 20mila cercatori d’oro nell’area, quando all’epoca della demarcazione [nei primi anni Novanta] eravamo riusciti a espellere tutti i 40mila garimpeiros presenti al suo interno. Tra le priorità del suo governo, Lula dovrà, dunque, contrastare questo fenomeno». La società brasiliana come percepisce l’indigeno? «Storicamente, l’indio è stato sempre visto in modo negativo dai governi e dalla società nazionale, a eccezione di una piccola fetta di intellettuali, scrittori, giornalisti e antropologi. La maggior parte della popolazione brasiliana continua, però, a essergli ostile, considerando gli indigeni come subumani [gli “animali da giardino zoologico” dell’ex capo dello stato] o comunque reietti della società, alla stregua dei gruppi emarginati delle città, oppure, nella migliore delle ipotesi, come attrazione da manifestazione folcloristica o da festival tribale. Addirittura, i caboclos - ribeirinhos che condividono lo stesso ambiente e la stessa origine - sono nemici dei popoli indigeni». Qualche mese fa ha fatto il giro del mondo la notizia dellamorte (agosto 2022) del cosiddetto «indio del buco» (indio do buraco, ndr) definito dai media «l’uomo più solo al mondo», per avervissuto per almeno 26 anni isolato in un’area di foresta dello stato di Rondônia. Cosa hai provato alla notizia della sua morte? «Nella regione del Tanarù (nome dell’area interdetta, ndr) è operativa una delle sei “frentes de Proteção etnoambiental” che io stesso ho creato in Amazzonia, quando ho fondato il Dipartimento per la protezione degli indios isolati. Da allora questo “fronte” si occupa di monitorare due gruppi indigeni, oltre all’“indio del buco”. Negli anni abbiamo provato a comunicare con lui, ma non parlava. E non abbiamo mai saputo se non parlava perché non voleva o perché non sapeva parlare. Abbiamo anche provato ad avvicinarci a lui e abbiamo trovato diverse capanne di paglia di forma triangolare con una buca di circa due metri al centro. Non sappiamo perché scavasse quelle buche, se per proteggersi o per catturare animali. Quando è morto sono usciti vari articoli ma si tratta di speculazioni, perché non sappiamo se fosse effettivamente l’ultimo membro di un gruppo indigeno o | MC | MARZO 2023 22 BRASILE © foto archivio Sydney Possuelo
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