* VATICANO 68 gennaio-febbraio 2023 MC © AfMC / Filippo Perlo pari dignità di tutti», come ha detto il professor Giampaolo Romanato del «Pontificio comitato di scienze storiche». Di questo approccio ha dato testimonianza anche il principio sempre affermato che il missionario «deve imparare la lingua locale, per quanto difficile e lontana essa sia». Perché «parlare la lingua dell’interlocutore è la via maestra affinché egli si senta trattato alla pari», e non debba sentirsi ridotto a una condizione di sudditanza. Propaganda Fide è la prima istituzione «globale», in essa i flussi di scambio informativo che da secoli vi si attivano sono finalizzati non a gestire la «politica alta», ma ad affrontare l’esistenza quotidiana di persone e comunità. 4. UNITÀ DI DOTTRINA, FEDE E LITURGIA Nell’incontro con l’altro, Propaganda Fide si confrontava con la diversità delle culture, delle forme politiche, delle civiltà, delle lingue, in un tempo in cui le distanze e i pericoli nei viaggi rendevano precario lo scambio delle informazioni. Nello stesso tempo doveva promuovere l’unità cattolica di dottrina, fede, liturgia. Come ha ricordato il professor Burigana, nel parlare di «Propaganda Fide e il mondo della riforma», i missionari arrivati in Estremo Oriente, oppure nelle regioni americane più impervie come le Ande o l’Amazzo2. UN COLLEGIO PER LA FORMAZIONE Gli stessi motivi apostolici che ispirarono l’istituzione di «De Propaganda Fide», furono all’origine dell’erezione del «Pontificio collegio de Propaganda Fide», conosciuto come Collegio Urbano, nel 1627. L’obiettivo era chiaro sin dall’inizio, ha sottolineato il padre Leonardo Sileo, rettore della Pontificia Università Urbaniana: essere una residenza per accogliere e formare al sacerdozio e alla missione giovani provenienti dai vari continenti e da differenti riti cristiani (in specie quelli orientali) con una speciale attenzione alla conoscenza e allo studio delle lingue e delle culture del mondo. A partire da questa esperienza, Propaganda Fide ha fondato dei collegi per la formazione del clero locale anche nelle «terre di missione». Tale il caso del Collegio di Zacatecas, in Messico, che ha cominciato a funzionare nel 1707. Propaganda Fide ha poi portato migliaia di giovani a Roma da paesi lontani per sostenere la loro formazione, senza stravolgere le culture d’origine, e farli tornare alle comunità di provenienza. Questo può essere considerato anche uno straordinario esperimento, «un contributo alla comprensione reciproca e al rispetto tra popoli e culture», iniziato secoli prima degli scambi e dei programmi «Erasmus» attivati dalle moderne istituzioni accademiche e universitarie. 3. INCONTRARE ALTRI POPOLI E CULTURE Nei secoli in cui il colonialismo europeo invadeva il mondo ed esportava ovunque l’idea di superiorità dell’Europa, Propaganda Fide seguiva la strada opposta. «Non la superiorità di qualcuno - bianco, europeo e occidentale -, ma l’uguaglianza e la nia, avvicinavano popolazioni «radicalmente diverse, con forme di civiltà e lingue a loro sconosciute». I quesiti che si ponevano rendevano evidente che «la verità del cattolicesimo romano era chiamata a confrontarsi con queste radicali diversità. Bisognava trovare soluzioni in grado di conciliare l’unità della stessa fede, e della teologia che la esprimeva, con la diversità delle lingue, e la molteplicità delle sensibilità». Salvare l’unità abbracciando la molteplicità fu il compito spesso gravoso affidato a Propaganda Fide, chiamata sempre a esercitare una grande disponibilità all’adattamento e a trovare soluzioni nuove per situazioni non previste, e neppure prevedibili, in Europa. Un lavoro enorme che «incise anche sul Diritto canonico», con l’emergere di una specifica sezione dedicata al «Diritto missionario» che «divenne una sorta di regno dell’eccezione e della tolleranza rispetto alla normativa vigente nella Chiesa latina», ha continuato il professor Romanato. TIPOGRAFIA POLIGLOTTA L’utilizzo della stampa fu deciso nella Congregazione (assemblea, ndr) generale di Propaganda Fide tenutasi il 3 giugno 1626. Il cardinale Francesco Ingoli, uomo di cultura e di riconosciute competenze linguistiche, era fortemente convinto che il neonato dicastero dovesse provvedere, tra i suoi Qui: formazione dei primi catechisti kikuyu a Tuthu, Kenya, nel 1904. * © AfMC / Filippo Perlo
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