ossier lingua, perché per le migranti può essere molto difficile. Spesso non capiscono quello che stanno firmando. Talvolta riusciamo a tradurre i contratti nella loro lingua. Nei paesi di destinazione cerchiamo di connetterle con qualche organizzazione di base o rete, magari cattolica, che possa aiutarle al loro arrivo. Ma non è facile: per molte di loro non abbiamo informazioni, possiamo averle forse per il 20%». Che lavoro fate con le vittime? «Le sopravvissute, che non sono più vittime, le supportiamo in modo da fare loro rielaborare il trauma, poi le accompagniamo cercando di integrarle nella società o nella comunità. Non è facile, ma le seguiamo almeno finché non siano completamente recuperate. Ci sono molti modi: con interventi psicosociali, aiutandole ad avere una vita sostenibile, facendo loro formazione, e aiutandole nel recupero. Abbiamo casi di successo e altri di fallimento. Cerchiamo di integrarle e renderle indipendenti, ma non sempre ci riusciamo. Qualche partner ci aiuta a lavorare con i giovani, per metterli in guardia, sensibilizzarli, ovvero fare prevenzione con loro. Se una sopravvissuta vuole tornare al suo paese, noi collaboriamo con agenzie internazionali, o con il governo, per il rimpatrio. Ma prima ci accertiamo che chi torna nel proprio paese lo faccia in condizioni di sicurezza. Questo cerchiamo di farlo anche attraverso le nostre reti». vario tipo, a seconda dei bisogni della persona, e cerchiamo di fare un accompagnamento psicologico, giuridico o altro a seconda dei bisogni. Lo stesso metodo lo usiamo in tutti i continenti, declinato nella realtà di ogni paese. La cosa fondamentale è il networking (fare rete, ndr). Ad esempio, se in un paese c’è una donna immigrata che ha bisogno di supporto psicologico o di protezione, e qualcuno riceve il suo caso (una parrocchia, una Ong, ecc), contatta noi del coordinamento internazionale. Noi ci connettiamo alla nostra rete presente in quel paese per capire chi può appoggiare la donna. In un altro caso, in Asia, abbiamo ricevuto una segnalazione, ma Talitha Kum non riusciva a intervenire da sola, allora ci siamo connessi con altre organizzazioni che lavorano sul tema della tratta. Ma oggi puntiamo alla prevenzione, ovvero fare in modo che non succeda che i migranti si trovino in difficoltà e diventino vittime». E per la prevenzione cosa fate? «Lavoriamo a livello locale per dare informazioni e facciamo campagne di sensibilizzazione, orientate a una migrazione “in sicurezza”. Intendiamo fornire informazioni di base a chi vuole migrare: ad esempio, quando si arriva in un paese, non è bene dare il proprio passaporto a qualcuno o, quando si firma un contratto, occorre essere sicuri di quello che c’è scritto. Cerchiamo di offrire un’introduzione di base alla 40 gennaio-febbraio 2023 © Af Talitha Kum
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