Missioni Consolata - Novembre 2022

ossier Corano in mano e mia sorella accanto. Per questo litigo con mamma, che è cattolica e attribuisce la colpa dei problemi di viaggio al Corano. «Buttatelo in mare se volete arrivare sani e salvi». Ci dice sempre più forte. «No! Non faremo un gesto simile. Se vuoi buttare qualcosa, lancia in mare la tua Bibbia», diciamo offese. La lite fa emergere vecchie tensioni; il nostro legame non è mai stato del tutto «normale»; ho vissuto troppo a lungo lontana da lei; non riesco nemmeno a darle del tu. Affrontiamo quattro lunghi giorni in condizioni spaventose. Già dal terzo non c’è più da mangiare: la fame e la sete si aggiungono a sonno e paura. All’improvviso si scorgono delle luci: sembra uno scoglio, invece si delinea l’aspetto di una piccola città. «È Pantelleria! Siamo arrivati!». Il mare però sembra fare di tutto per non permetterci di sbarcare: è agitatissimo, ci fa urtare tra di noi. Le onde sbattono contro la barca che si impenna vistosamente. 192 vite si sentono più fragili che mai; poi da una piccola imbarcazione pochi marinai di Pantelleria ci vedono in difficoltà, ci raggiungono e ci invitano a seguirli al porto. Ma la nostra barca sembra non voglia essere guidata: in un’ora e mezza le nostre vite vengono segnate per sempre. Il mare è davvero troppo agitato: ci fa sbattere tra di noi e colpisce spaventosamente il barcone che sembra impazzito. Mamma è pallida e non parla: guarda Camille. Dopo poco mi dà la mano: sento che mi è impossibile rifiutare quel gesto, che poi fa anche con Kerene. Le onde sono sempre più alte, impediscono di vedere intorno; ma vicino ci sono gli scogli: un impatto forte, terribile causa uno squarcio sulla fiancata dell’imbarcazione. Trattengo il fiato, ho il cuore in gola, mi sento viva e quindi mi metto a pregare: «Dio, ti prego, fa’ che non succeda più…». La barca incontra un’onda enorme, tutto cambia prospettiva in un attimo: siamo catapultati in mare. È tutto un gridare, agitarsi, aggrapparsi a qualunque cosa. Chi si cerca, chi nuota, chi resta immobile: molti di noi non sanno nuotare e sopportano il loro atroce destino. Io ho un salvagente che papà ha comprato prima di partire; all’improvviso sento che qualcuno me lo vuole strappare. Per reazione decido di afferrarlo con più forza: non so nuotare. La Guardia Costiera e i volontari arrivano e ci La nuova amica del Congo ci ospita per un po’, mentre cerchiamo di sistemarci. Mamma e papà trovano un impiego e noi una scuola. Mamma però mi preoccupa: mangia poco, dimagrisce, ha paura che qualcuno dell’ambasciata ci porti via. Cerchiamo allora di organizzarci un’identità nuova: decidiamo di non usare più la lingua del Niger e ci diamo dei nuovi nomi: Kerene diventa Habiba e io, invece di Aicha, mi faccio chiamare Bellevie. Nuovi incubi Sembra troppo bello per essere vero. Nel 2011 la Libia viene sconvolta dalla guerra. I bombardamenti sono sempre più frequenti, così decidiamo di sospendere la scuola. Intanto ci giunge notizia che ci sono dei ponti aerei per il ritorno degli stranieri nelle loro nazioni. «Non ci torno più!», dicevamo tutti. «Tornare in Niger vuol dire azzerare tutto. Ammettere di essere scappati. Essere puniti». «Che ne dite dell’Italia?», dicono mamma e Camille. «Italia» ci risuona nella mente a vuoto. «La Francia è il mio sogno», dice mamma. Forse dall’Italia sarà facile arrivarci. Bisogna sbrigarsi e preparare tutto. Il problema sono ancora i soldi: ne servono tantissimi. Iniziamo quindi la procedura per la partenza. Chi gestisce i migranti li ammassa fuori città, in case disabitate in attesa del momento per partire. Sono strutture terribili: usiamo gli alberi come bagno e stiamo in silenzio, anche se la solidarietà che si crea è unica. È il 9 aprile 2011. È il cuore della notte. Nascondendoci dalla sorveglianza armata ci imbarchiamo mentre intorno a noi si sente minaccioso il rumore delle bombe che ci gela il sangue. All’inizio il mare è calmo e il vento appare buono. L’arrivo a Lampedusa è previsto per la mattina successiva. L’indomani, però, la barca è ancora in alto mare. Gira voce che sia rotta o che chi la sta guidando abbia perso la rotta. All’improvviso ci arriva l’ordine di liberarci di gioielli e oggetti preziosi, perché siamo vittima di un incantesimo e dobbiamo gettare in mare tutto. Adesso mamma è davvero spaventata. Da musulmana inizio, dunque, a pregare con il 48 novembre 2022 © Daniale Biella

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