Un’altra vita Dopo poco io e mia sorella confessiamo a mamma il nostro gesto. Lei piange e basta. «Dobbiamo sbrigarci», dice «Non c’è un attimo da perdere». Lei sa quanto stiamo rischiando, così partiamo subito: un’altra avventura, un altro camion. Ricordo con terrore la sensazione di soffocamento là dentro. Prego, spero, aspetto. Sono giorni interminabili: fuori dalla città, in attesa di sconosciuti. «Loro sono malvagi», sento dire degli uomini che gestiscono i camion. «Vogliono soldi, tanti soldi». «Non li abbiamo per tutti», sussurrano mamma e Camille. «Come faremo? Quelli là non hanno pazienza!». Alla fine è deciso: io, mamma e Viani stiamo alle porte di Tripoli ad aspettare il carico successivo. Così inizia il mio incubo. Di notte ci portano in un luogo lontano da tutto, orribile. Ci picchiano a sangue e abbandonano. «Mamma, dove siamo?» sussurro, nella speranza che lei mi conforti. La sua voce trema. «Corriamo, dai!», ci dice. Le ferite sarebbero rimaste per sempre, ma il dolore non la ferma. Corriamo piangendo e tenendoci forte per mano. Dopo un po’ ci separiamo: Viani è veloce e leggero come una piuma, mamma non ce la fa. Siamo senza scarpe e impauriti. «Ci saranno case, persone, animali feroci?» A un certo punto vediamo un alto recinto. «Dai, saltiamo!» Io lo scavalco per prima, in fretta e agile. «Coraggio!», dico. «Non è difficile». Viani mi segue, ma la mamma si blocca. «Andate. Vi raggiungo tra poco» ci dice. Ci vuole solo vedere salvi. Invece l’aspettiamo e andiamo insieme. È tardissimo, abbiamo fame e sonno, non sappiamo quanti altri pericoli ci aspettano. Camminiamo fino al giorno successivo, poi vediamo una casa. «Sarà abitata?», ci chiediamo «Non importa», risponde mamma. «Chi sa parlare l’arabo come me, qui è al sicuro bambini miei». Lei ci rassicura, non lascia trasparire lo sconforto. Ci avviciniamo e troviamo qualcuno con cui parlare. Sono minuti lunghissimi, in cui ci pare di contrattare il nostro destino. «Davvero ci portano?». Esultiamo io e Viani. Forse è il nostro giorno fortunato. Troviamo un passaggio per la capitale, e anche un paio di scarpe! Ci sono tante persone, africani di diverse etnie, ognuno con una storia diversa, ma siamo preoccupate di non riuscire a trovare Camille e i miei fratelli. Che strano! Le amicizie fatte nei momenti più difficili sembrano destinate a essere più forti e a durare. Dopo due giorni ritroviamo i nostri familiari. Un’emozione immensa! «Non dobbiamo più separarci!», è la nostra promessa. Racconti di donne MC bere. Non so se sia magia o miracolo, ma poi sto meglio! I momenti più bui si presentano al centro del deserto, nella città di Dirq. I soldi sono finiti ma il viaggio è ancora lungo. Mamma finge che vada tutto bene, ma deve vendere gli oggetti più utili, anche la torcia. A un controllo perdiamo le speranze. Le guardie non credono alla nostra parentela, perché mamma parla in francese e noi in dialetto e temono che ci abbia rapite. Dopo tanta paura, sono i gemelli a confermare per telefono la nostra sincerità. Ma le difficoltà non vogliono finire. Non torna nessuno a prenderci, a farci risalire sul camion. Bisogna avere soldi, molti soldi. E così ci troviamo rinchiusi in un recinto, dietro un muro altissimo. Dopo qualche giorno in quell’inferno, papà trova i soldi per il viaggio. Un suo amico ci permette di lavarci e cambiarci, ci dà vestiti puliti, cibo e un’auto. In Libia Siamo stanchissimi, ma alla frontiera ci aspettano nuovi problemi: siamo senza soldi e documenti. Rischiamo, preghiamo. Alla fine arriviamo a Saba e si avvera un desiderio: ci laviamo e mangiamo tutti fino a scoppiare! Incontro i miei fratelli: Viani, Raiss ed Hernst, il più piccolino. «Sono bellissimi», penso, «ma non so come parleremo: non conosco la loro lingua». Ci sistemiamo con persone di tante zone dell’Africa, ma io soffro di nostalgia, vorrei tornare in Niger. Così io e Kerene pensiamo a salvarci con un gesto vile: rubiamo dei soldi a mamma e di nascosto andiamo a telefonare alla zia. «Zia, sei tu?» «Aicha, Kerene?» la voce le trema ma sembra felice. «Chi vi ha portate via?» Le spieghiamo l’accaduto e le diamo informazioni per trovarci. Il nostro unico pensiero è tornare, ma ancora oggi non mi so perdonare un gesto così vile. novembre 2022 47
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=