Missioni Consolata - Novembre 2022

STORIE VERE DI DONNE MIGRANTI K.19 Valeria Rubino Nasce e cresce a Verona. Studia giornalismo e dopo una breve esperienza lavorativa a Londra, nel 2015 - al culmine dell’emergenza sbarchi dei richiedenti asilo giunti tramite la Libia - torna nella sua città. Da allora lavora per una Cooperativa sociale all’interno del progetto «Immigrazione», occupandosi dell’accoglienza dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale sul territorio di Verona e provincia. Il suo racconto, «K.19», ha vinto il premio «Sezione speciale donne italiane» della XIII edizione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, con la seguente motivazione: «Per la capacità di raccontare senza sconti le violenze subite dalle donne migranti dall’Africa all’Europa. Per lo sguardo di lucida empatia con cui ogni storia è narrata nella sua unicità, mettendo tuttavia in evidenza la comune deumanizzazione che la violenza contro le donne in quanto donne produce in chi la subisce. Per l’azione politica svolta dalla denuncia di crimini contro l’umanità che chi racconta svolge con prosa attenta, senza concedere nulla al pietismo e alla commozione. Malattie, leggi, gravidanze, guerre, stupri diventano voci di tante piccole carte d’identità a cui si aggiunge quella dell’autrice che si riconosce in tutte e soprattutto nell’affermazione della dignità femminile presente in ogni storia». K. è nigeriana ed ha 19 anni. È cresciuta senza madre, della quale non sa nulla, con il padre. Il padre che, fin da bambina, la chiudeva a chiave in casa usciva per andare al lavoro, poi tornava la sera pretendendo che la figlia avesse preparato la cena e sistemato la casa. Beveva e si approfittava sessualmente di lei. Un giorno K. è riuscita a fuggire. Non avendo nessuno, ha vagabondato per le strade per mesi. Poi qualcuno le ha offerto la salvezza: un viaggio pagato per l’Europa e un lavoro al suo arrivo. Così K., attraversando Nigeria e Niger è arrivata in Libia. Poi i barconi. Poi la costa. È Italia. K. arriva alla città cui è stata destinata, in qualità di richiedente asilo. Una casa, dei pasti caldi, assistenza burocratica e sanitaria, scuola, scoperte. E un uomo che inizia a chiamarla, per «quel lavoro» che le era stato promesso. Prostituzione. Io non sono una prostituta. Devi restituire ventimila euro. Per cosa. Per il viaggio che ti è stato pagato. Io non sono una prostituta. Se non accetti faremo del male a tuo padre. Non mi importa, è un uomo cattivo. Faremo del male a tua madre. Ho perso mia madre quando ero bambina, non l’ho mai conosciuta. L’abbiamo ritrovata, se non vuoi che le venga fatto del male fai quello che ti viene chiesto. Puoi parlarle al telefono, se non ci credi. A questo punto K. ha parlato con una donna per telefono. Piangeva. La pregava di ascoltarli, di fare quello che le stavano chiedendo, perché avevano minacciato di ucciderla. K. è una bambina. I traumi che ha subito non le hanno permesso di crescere. Con l’ingenuità di chi ha dieci anni e la consapevolezza di chi ha vissuto la violenza si rivolge all’operatrice della struttura di accoglienza, e le chiede cosa fare. Nulla. Quella non è tua madre. Vogliono fartelo credere per ricattarti. K., qui c’è qualcuno che può aiutarti. Rete anti-tratta. di VALERIA RUBINO ossier 36 novembre 2022

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