Missioni Consolata - Novembre 2022

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

Disponibile in libreria o su www.emi.it pp. 128 / € 16 5VSDIJB UFSSB EJ JODPOUSJ F EJ GSPOUJFSF «Una raccolta di splendidi racconti di missione, per entrare a contatto con la realtà di un mondo abitato dai poveri e dagli ultimi della terra, ma trasformato alla luce del Vangelo» Monsignor Martin Kmetec

AI LETTORI Ai lettori MC R di Gigi Anataloni, direttore MC EDI ORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC Missione donna Scrivo queste righe durante il mese missionario. Un mese che comincia con la memoria di santa Teresa di Lisieux e si conclude con quella della beata Irene Stefani. La prima, vissuta solo 24 anni, è protettrice delle missioni, pur non essendoci mai stata; la seconda, missionaria della Consolata, è morta di peste in Kenya a 39 anni, mentre serviva i poveri. Due giovani donne innamorate di Dio, due che hanno fatto della dedizione incondizionata lo scopo della loro vita. Due donne consumate dall’amore. A esse, voglio aggiungere suor Carola Cecchin, beatificata il 5 di questo mese. Un’altra missionaria di inizio Novecento in Kenya, detta «mamma buona». Anche lei bruciata dall’amore e «sepolta» nelle acque del Mar Rosso. Nonostante debba tantissimo a suor Irene e ai suoi scarponi logori (ho letto la sua biografia «Gli scarponi della gloria» quando avevo 12 anni), non mi è mai venuto spontaneo pensare alla missione al femminile. Ma sempre di più è doveroso farlo, a maggior ragione in questi giorni segnati da figure femminili che, nel bene o nel male (lasciamo a voi giudicarlo), segnano la storia: la regina Elisabetta; la leader della nuova maggioranza parlamentare in Italia, Giorgia Meloni; le donne iraniane che non si lasciano intimorire dal maschilismo violento mascherato di religione di alcuni loro connazionali. Senza contare tutte le donne che costituiscono lo zoccolo duro e la maggioranza dei membri attivi delle parrocchie. Come scordare, poi, che noi missionari della Consolata abbiamo la nostra ispirazione e il nostro modello proprio in una donna, la madre di Gesù, che noi, con i torinesi, chiamiamo affettuosamente Consolata? In questo nostro tempo le donne sono protagoniste. Anche se a volte mi lasciano quantomeno confuso, come nella battaglia per far riconoscere l’aborto un diritto, oppure come nell’accettazione acritica di mode, spesso determinate da stilisti uomini, che di rispetto per la dignità della donna hanno ben poco. Sono protagoniste, purtroppo, anche della cronaca che ci racconta un crescendo di violenze contro di loro, indice di grande confusione negli uomini, impreparati a una relazione paritaria con esse. Questo disagio è ancora più evidente in paesi del Sud del mondo, dove, grazie all’educazione e a tanti progetti mirati al loro empowerment, le donne stanno scoprendo una nuova dignità con la quale gli uomini non riescono a tenere il passo, aumentando comportamenti violenti e alcoolismo e lasciando sulle donne il peso della famiglia. Peso che, con la crisi che tutti stiamo vivendo, diventa sempre più gravoso. Un altro ambito di violenza sulle donne è quello del traffico di persone, che vede proprio in loro la «merce» primaria da buttare nel vortice della prostituzione e nel mercato della pornografia online. Questi si nutrono, come ricordato da un recente rapporto presentato al parlamento francese, di violenze estreme proprio su donne e bambini. Non ultimo, in questo scenario, è l’aumento della schiavitù, anche nei nostri paesi che si ritengono così orgogliosamente superiori agli altri (vedi pag. 56). Corollario di questa nuova schiavitù è l’utero in affitto, che pure è rivendicato come diritto da alcuni che hanno grande influenza sui social. Il nostro paese ha incoronato capo della nuova maggioranza in parlamento una donna. Non credo che questo basti da solo a risolvere i problemi di discriminazione e violenza. Come non basta lo scrivere aggettivi che finiscono con un asterisco o senza l’ultima consonante per creare nuove relazioni di rispetto della dignità di ogni persona. Chi è stato come me in Africa, ha usato lingue inclusive, ma ha sperimentato quanto maschilismo e sessismo ci fosse nella società. Senza un reale cambio di mentalità, espedienti linguistici come l’omissione delle ultime lettere delle parole per indicare un genere «neutro» rischia di essere solo un intervento cosmetico. Le tre sante che hanno fatto da corona al mese missionario, non hanno fatto teorie, ma hanno vissuto una mentalità nuova centrata sull’amore, facendosi serve - non padrone - degli altri, fino a dare la propria vita perché le persone che hanno incontrato potessero essere vive, libere e amate. Ci hanno mostrato la strada, quella che Gesù indica per «farsi servi» gli uni degli altri. L’augurio è che tutti la percorriamo. 3 novembre 2022 MC

* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 32 CAMMINO DI LIBERTÀ 19. Dio tra l’uomo (Es 40) di Angelo Fracchia 64 E LA CHIAMANO ECONOMIA L’auto migliore è quella che non si ha di Francesco Gesualdi 67 COOPERANDO Terzo settore e media di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Ogni pace e ogni guerra hanno una storia di Sante Altizio In copertina: bambine samburu in un villaggio vicino a South Horr, diocesi di Maralal, Kenya (foto: Virgilio Pante). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 11 | Novembre 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione l’11 ottobre 2022 e consegnato alle poste di Torino prima del 31 ottobre 2022. 03 AI LETTORI Missione donna di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo RACCONTI DA «LINGUA MADRE» IO SONO TUTTE LE DONNE di Valeria Rubino, Dunja Bandiević, Dorota Czalbowska, Aicha Fumba, Daniela Finocchi; a cura di Gigi Anataloni MC A ossier 4 novembre 2022 MC MC R 10 BRASILE Voci di donne dalle favelas di Diego Battistessa 16 KENYA Servire con «Gioia» di Marco Bello 20 RUSSIA Wagner e i suoi fratelli di Enrico Casale 26 ITALIA Sperimentare il centuplo di Luca Lorusso 51 ARGENTINA Scattare la giustizia di Valentina Tamborra 56 MONDO Schiavitù: c’era una volta (e c’è ancora) di Paolo Moiola 59 MONDO Albert Einstein, tra Nobel e famiglia di Piergiorgio Pescali 71 RD CONGO Per una salute che arriva al cuore di Ivo Lazzaroni 75 ALLAMANO Castelnuovo Don Bosco inserto a cura di S. Frassetto MC I SOMMARIO 35 * 10 * * * *

A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO I I I I I I quel villaggio è stato assalito ancora una volta. Mary, che era tornata a visitare suo padre, è stata uccisa con i giovani soldati, nel tentativo di recuperare il bestiame rubato, così essenziale per la vita in quelle terre. Lascia quattro figli e un grande ricordo. Sui social la chiamano «ambasciatrice di pace» e «campionessa della giustizia, dell’armonia e della coesistenza pacifica». Per me, Mary è stata un motivo di gioia, perché splendido risultato del programma di sostegno a distanza che ha come scopo fondamentale quello di costruire persone più che strutture. Persone che, come Mary, diventino soggetti del loro stesso riscatto e aiutino la loro gente per uno sviluppo di giustizia e pace. padre Gigi Anataloni Torino, 29/09/2022 LA DIGA IN ETIOPIA Si sente parlare troppo poco della diga che si sta costruendo in Etiopia e che cambierà l’economia anche di Egitto e Sudan. Non è nemmeno chiaro chi presta i soldi (penso la Cina). Se ne sa molto poco, però gli etiopici stanno cominciando a riempire il loro invaso e i cinesi stanno facendo imporUCCISA AMBASCIATRICE DI PACE Il 24 settembre, in un remotissimo angolo del Kenya, nel Turkana Est, nelle zone semiaride della Suguta Valley, un centinaio di chilometri a Sud del Lago Turkana, nelle savane di Kamuge, sono state massacrate una decina di persone, tra cui sette soldati, un autista, un chief e una mamma di famiglia, Mary Kanyaman Ekai. Il massacro, ad opera di Pokot razziatori di bestiame, è indice dell’alto grado di insicurezza che esiste nella regione in cui, nel 1981, era stato ucciso anche padre Luigi Graiff (vedi MC 12/2021, p. 6). Perché riportarvi questo fatto che non ha toccato i nostri giornali e che ha fatto notizia in Kenya, dove gli scontri tribali nel Nord semidesertico non interessano molto il resto del paese, solo perché la giovane signora ammazzata aveva una qualche notorietà? Racconto qui questa vicenda perché Mary era una ragazza turkana che ha potuto studiare solo grazie al nostro programma di sostegno a distanza. La famiglia di Mary era arrivata a Loikas, lo slum turkana di Maralal, nel 1992, quando aveva più o meno dieci anni. La sua famiglia era dovuta fuggire dalla Suguta Valley a causa di un attacco di Pokot che aveva ucciso ben dieci persone del villaggio e rubato tutti gli animali. Aiutata dalla missione, ha studiato nella scuola secondaria santa Teresa di Wamba, diretta allora dalle Missionarie della Consolata, ed è arrivata a laurearsi in biochimica. Si era poi impegnata a migliorare l’ambiente, promuovere le condizioni della sua gente, entrando nel governo della contea Samburu (lei, turkana, in una contea dominata dai Samburu) come responsabile del comitato esecutivo centrale per la salute, dove si era impegnata molto per elevare lo standard dei servizi medici. Finito il suo mandato, si era buttata nella promozione della donna e nel costruire la pace e la cooperazione tra i vari gruppi etnici della regione. Memore dell’aiuto ricevuto, lei stessa sosteneva ragazzi poveri per la scuola. Aveva anche aiutato la sua famiglia a tornare nelle terre ancestrali da dove erano fuggiti tanti anni prima. Trent’anni dopo quel massacro, 5 MC Qui: ottobre 1998, scuola secondaria santa Teresa di Wamba, Maralal, Kenya, gruppo di studentesse provenienti da famiglie povere del villaggio di Loikas aiutate col programma di sostegno a distanza. La prima a sinistra, in piedi, è una Samburu oggi attiva nella lotta alla Fgm (mutilazione genitale femminile); la seconda, anche lei Samburu, è un chief in un villaggio vicino a Maralal, la terza è la nostra Mary Kanyaman, turkana, massacrata il 24 settembre. Quella accucciata è una ragazza kikuyu. | A destra: Mary Kanyaman Ekai in una foto rilasciata dal Samburu County Government. | Le foto del massacro sono troppo scioccanti per essere pubblicate. *

Noi e Voi scenza su tanti problemi in genere ignorati dalla stampa e altre fonti «ufficiali». Penso che in tutti voi sia presente un impegno personale veramente bellissimo. Ciò premesso - e avendo io ormai raggiunto un’età ragguardevole - vorrei citare un argomento fondamentale che è sostanzialmente assente dalla pubblicistica sull’Africa: non solo quella vostra, ma anche di tutte le altre Onlus e Ong, dalla stampa e dai dibattiti di ogni genere. Il tema è l’esplosione demografica, in tutto il continente. I motivi sono i più svariati, e non devo certo elencarli a voi: tradizioni locali, timore di urtare presunti precetti religiosi per i cristiani e per gli islamici, paura di attirare critiche di stampo ideologico/politico, e così via. Ma questo silenzio è veramente assordante. Riflettiamo un attimo, senza preconcetti o paraocchi. Mentre da noi si assiste ad un triste e inarrestabile calo delle nascite, in Africa la popolazione - in soli ottant’anni - si è moltiplicata per cinque o sei volte! E continua così, come se ci trovassimo di fronte a risorse illimitate. In questa situazione si incrementano azioni meritorie e doverose per curare, sfamare, costruire, come fate voi e gli infiniti gruppi di provenienza «occidentale». Ma nel contempo - oltre alle fughe disperate verso l’Europa - dilagano le guerre locali, il terrorismo e le bande armate, la rapina e la svendita dei beni ambientali, l’ignoranza e la corruzione, la disoccupazione e l’assistenzialismo di intere popolazioni. I meritevoli sforzi delle Ong cadono come gocce solitarie nell’oceano. Le belle fotografie di torme di bambini sorridenti rallegrano lo spirito, ma quale sarà il loro futuro tra qualche anno? Di fronte a queste realtà numeriche è fisicamente impossibile che una crescita realistica dell’economia locale riesca a farvi fronte, ed allora ciascuno cerca una via d’uscita personale, persino di tipo criminale. Questi sono ragionamenti puramente matematici, non collegati ad alcuna ideologia. Perché ne scrivo a voi? Perché su questi temi cala il silenzio, o al massimo compare qualche vaghissimo accenno. Meglio fare finta di nulla. Paura di toccare un tema scottante? Sensazione di impotenza? Rischio di essere fraintesi? La regolazione delle nascite dovrebbe diventare invece il tema n.1, se vogliamo immaginare un possibile futuro per questi disgraziati fratelli! Sarà un’impresa immane che richiederà l’azione concorde di organizzazioni di ogni tipo, origine e dimensione: ma qualcuno, anche una realtà minore, deve lanciare la prima pietra e cercare di far rumore, sperimentando metodi efficaci e dedicando una parte delle proprie (e scarse!) risorse a questo aspetto vitale. Ho cercato di sintetizzare al massimo quanto penso. Vi invio i saluti più cari e gli auguri per il successo delle vostre attività. Cordialmente. Giorgio Berutti 12/09/2022 Caro signor Giorgio, grazie della lettera e della lunga amicizia e supporto. Il tema che ci sottopone è di grande attualità, anche se probabilmente non concordiamo nell’analisi delle cause e dei rimedi. Non è questa rubrica il luogo per affrontare questo tema così vasto, ma accettiamo la sua provocazione e le prometto che ci torneremo. Intanto mi permetto solo di dire che non è con la regolazione delle nascite che si risolve questo problema, ma anzitutto con un cambio di mentalità e con una maggiore giustizia ambientale ed economica. Fino a quando il 10% della popolazione mondiale produce il 48% delle emissioni di carbonio (indice chiaro del livello di consumo delle risorse del nostro pianeta), un’altro 40% ne produce il 40%, e il restante 50% solo il 12%, (3,6% prodotto dall’Africa) non si aiuteranno certo i più poveri a migliorare la qualità della loro vita, e a convincerli che il loro futuro non sarà assicurato soltanto dal numero di figli. 6 novembre 2022 MC tanti progetti agricoli nel paese. Non è nemmeno chiaro se la diga di Assuan (in Egitto, ndr) sia ancora operativa o se sia troppo piena di sabbia. Quel che è certo è che toglie l’acqua del Nilo all’Egitto che supera i 100 milioni di abitanti e sarà una catastrofe, peraltro ben meritata dal loro regime militare. Mentre il Sudan, poco popolato e subito dopo l’Etiopia nel corso del Nilo non dovrebbe avere dei grandi problemi. Non mi è nemmeno chiaro se l’Egitto ha accesso a pozzi di petrolio nel Mediterraneo. Ma certo che la nostra politica estera dovrà occuparsi seriamente di questo imminente problema. Sarei anche curioso di sapere come la vedono gli Israeliani, che hanno un ottimo rapporto con l’Etiopia, da cui hanno trasferito parecchia popolazione, perchè Israele ha bisogno di gente in qualche modo collegabile con l’ebraismo. Insomma si direbbe che i cinesi sono meglio informati e più attivi degli europei. Claudio Bellavita 24/08/2022 I problemi elencati sono tutti di grande interesse, anche se in Italia li si guarda da lontano e con una certa indifferenza, perché apparentemente non ci toccano. ESPLOSIONE DEMOGRAFICA IN AFRICA Gentile direttore, vi seguo da molti anni e cerco anche di sostenervi con qualche offerta liberale. Ho veramente una grande ammirazione per le vostre idealità, per quanto avete fatto e continuate a fare, per l’impegno a trasmettere ai vostri sostenitori notizie sui progetti realizzati e preziose informazioni su tanti paesi del Terzo Mondo (si dice ancora così?). Credo che la vostra rivista costituisca un prezioso canale di cono-

Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R R MC 7 novembre 2022 MC Fiumi in secca, ghiacciai che si ritirano e faticano ad alimentare le nostre falde acquifere, campi assetati, fenomeni atmosferici estremi… La mancanza di acqua sperimentata quest’estate anche nel nostro paese ci ha fatto provare cosa vuol dire trascurare l’ambiente. In tanti altri paesi dove operano i Missionari della Consolata, si sono sperimentate situazioni contrastanti: in alcuni, come il Brasile, grandi allagamenti, in altri, come il Kenya, grande siccità che sta portando alla fame oltre tre milioni di persone. I Missionari della Consolata sono vicini a coloro che da sempre vivono questa realtà, sostenendo progetti per lo scavo di pozzi, installazione di cisterne, sostegno e miglioramento di impianti idrici esistenti, in modo particolare per garantire l’acqua a scuole, centri sanitari, case famiglia, comunità; formazione a un buon uso dell’acqua. Intervengono anche per alleviare le situazioni di fame causate dalla siccità. A volte sembrano solo piccole gocce di fronte alla gravità delle situazioni, ma non si può restare indifferenti di fronte al grido dei poveri. Madre Teresa di Calcutta diceva: «Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo, l’oceano avrebbe una goccia in meno». PER DONAZIONI VEDI PAGINA 83 Grazie, Asante, Thank you, Obrigado, Gracias, Ace Olen, Shukran UNA GOCCIA IN DONO Questo Natale, dona una goccia e fai la differenza.

dello di sviluppo, sostenibile e di qualità, rilanciare il lavoro, accelerare la transizione ecologica, mettere al centro la scuola e la sanità pubblica. «Sbilanciamoci» già negli anni scorsi ha promosso iniziative in contemporanea a quella della Cernobbio ufficiale, con l’idea di favorire un’economia al servizio delle persone e di tutto il pianeta. In un momento storico segnato da guerre, pandemia, cambiamenti climatici e aumento dei costi energetici c’è bisogno di affrontare la questione sociale, perché negli ultimi trent’anni le diseguaglianze sono aumentate e questo è un problema che deve essere affrontato con politiche di giustizia fiscale e facendo del tema della povertà e dell’ingiusta distribuzione dei beni il centro delle politiche economiche. (Vatican News) ASIA LA MISSIONE DELLA CHIESA «Camminare insieme con i popoli dell’Asia», questo il senso e la prospettiva delle celebrazioni che si sono aperte il 20 agosto a Bangkok per il cinquantesi- mo anniversario della fondazione della Conferenza generale della federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), un organismo che raccoglie tutte le conferenze episcopali cattoliche dell’immenso continente asiatico. Il mez- zo secolo di vita di questa importante realtà è stato poi celebrato con l’Assemblea generale dei vescovi asiatici tenutasi fra il 12 e il 30 ottobre, in Thailandia, a cui hanno partecipato 250 vescovi, sacerdoti, religiosi e laici in rappresentanza di tutte le Chiese cattoliche dell’Asia. L’evento è servito soprattutto per riflettere sulle prospettive future della presenza cristiana in un continente che annovera una varietà impressionante di realtà ecclesiali. La Chiesa in Asia, infatti, pur caratterizzata da una chiesto alla sua famiglia cosa fare. I suoi parenti lo hanno rassicurato e lo hanno convinto che era giusto fare questa icona. L’appellativo «Madre della grande steppa» si riferisce alla cultura kazaka condivisa: la steppa come habitat in cui convivono molte nazioni diverse. Mentre l’icona veniva dipinta, l’artista ha raccontato di essersi accorto che quest’opera d’arte in realtà non nasceva in maniera estemporanea in quel momento. Lui ha avuto l’impressione che quell’immagine fosse stata sempre presente nel suo lavoro artistico. L’ icona è diventata per lui il riassunto di tutta la ricerca di una vita. (Fides) ITALIA CERNOBBIO ALTERNATIVA Il 3 settembre 2022, in contemporanea con il tradizionale appuntamento dell’establishment finanziario ed economico organizzato dallo Studio Ambrosetti, si è tenuta l’Altra Cernobbio, l’evento organizzato da «Sbilanciamoci!», rete che dal 1999 riunisce 50 organizzazioni della società civile, riunite a poche decine di metri dalla Villa d’Este sede del forum Ambrosetti, presso il cine-oratorio San Giuseppe di Cernobbio. L’evento è servito per discutere e condividere idee e iniziative contro la guerra, per un diverso moKAZAKISTAN MADREDELLAGRANDESTEPPA «È stato molto affascinante vedere l’entusiasmo con cui si preparavano alla visita non solo i pochi cattolici del Kazakistan, ma anche le autorità del paese, che ha una popolazione per il 75% musulmana». Così padre Leopold Kropfreiter, direttore nazionale delle pontificie Opere missionarie (Pom) in Kazakistan. «Abbiamo sperimentato molta benevolenza e interesse, molti Kazaki hanno conosciuto la Chiesa cattolica solo in occasione dei preparativi di questo importante viaggio. Gli stessi media hanno dovuto prima imparare chi sono i cattolici per poter raccontare la visita». L’attenzione verso il papa e la sua figura è cresciuta con il passare delle ore da parte del popolo kazako. Nel contesto del viaggio papale, è stata benedetta un’enorme icona di Maria «Madre della grande steppa» dedicata al più grande santuario mariano dell’Asia centrale a Ozornoe, a cui i cattolici locali sono particolarmente devoti. L’autore dell’icona è un artista kazako, Dosbol Kasymov il quale, quando ha ricevuto la richiesta di realizzarla, essendo musulmano, inizialmente ha avuto dei dubbi e ha a cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Kazakistan: l’icona di Maria «Madre della grande steppa» dipinta dal kazako Dosbol Kasymov per il santuario di Ozornoe. * 8 novembre 2022 MC

presenza quasi infinitesimale - circa il 2% - rispetto alle masse che vivono in questo continente, ha da sempre un ruolo fondamentale nel campo educativo, sanitario e sociale, ambiti di primaria importanza dove le spiritualità più antiche della storia dell’umanità sono rimaste pressoché impermeabili all’annuncio della Buona Novella. Papa Francesco in un messaggio inviato alla Fabc, ha espresso l’auspicio che le deliberazioni di questa Conferenza generale «permettano alle vostre Chiese locali di sviluppare, all’interno dell’unità poliedrica del popolo di Dio, modi diversi di proclamare la gioia del Vangelo, di formare nuove generazioni di discepoli missionari e di lavorare per l’estensione del regno di Cristo, della santità universale, della giustizia e della pace». (Asia News) COLOMBIA SETTIMANA PER LA PACE Con il motto «Territori in movimento per la Pace», dal 4 all’11 settembre 2022 si è tenuta la 35ª edizione della «Settimana per la Pace» promossa dalla Conferenza episcopale colombiana (Cec). Quest’anno gli organizzatori hanno scelto lo slogan che mette in evidenza il territorio per dare forza al concetto che i territori esprimono la diversità e la vitalità sociale, culturale e politica del paese. Qui si vivono le tensioni, i conflitti e le asperità della violenza, ma qui si manifestano anche la speranza, la resistenza e gli sforzi coraggiosi nella costruzione di condizioni di vita dignitose. Quindi la pace si intreccia giorno per giorno dai territori. La Settimana per la Pace è una mobilitazione civile il cui obiettivo è rendere visibile lo sforzo quotidiano di migliaia di persone, gruppi, organizzazioni, istituzioni, che lavorano nella costruzione e nel consolidamento della pace, oltre a far conoscere iniziative dentro e fuori i territori. (Fides) HONG KONG COMUNITÀ DI FEDE Condividere l’evangelizzazione nella diaspora, valutare lo sviluppo delle «Comunità di fede» per unire i laici, continuare a promuovere l’Associazione per trasmettere la fede nelle parrocchie e nelle varie realtà della Chiesa: con questi obiettivi, mettendosi sulla via sinodale che sta percorrendo tutta la Chiesa, l’Associazione cattolica per lo sviluppo delle piccole Comunità di fede ha celebrato il suo anniversario. Istituita nel 2013, ha l’obiettivo di studiare la storia e le modalità di sviluppo delle piccole comunità, individuare la strada da seguire per il loro sviluppo nella diocesi di Hong Kong, formare i leader, fornire consulenza per la crescita a lungo termine delle piccole comunità e promuovere la loro diffusione nella comunità cattolica cinese. Dalla sua fondazione, questa associazione ha organizzato 11 sessioni di formazione per la leadership delle piccole comunità. Il programma è approfondire la fede, evidenziare l’identità dei laici e incoraggiare lo sviluppo delle piccole comunità di base per sostenere la vita cristiana dei fedeli. (Fides) R MC * * OUJDA: porte aperte Le porte sono sempre aperte. Di notte e di giorno. L’accoglienza nella parrocchia di Oujda, in Marocco, non ha orari. C’è sempre qualcuno a ricevere gli immigrati con lo spirito del samaritano: accudire chi soffre, chiunque esso sia, qualunque storia lasci alle sue spalle. «Non ci guida niente altro che la solidarietà», spiega Edwin Osaleh Duyani, missionario della Consolata e parroco di Oujda: «Non abbiamo altri fini né vogliamo offrire altro che un messaggio di amore verso chi viene da esperienze durissime». La città è vicino al confine tra Marocco e Algeria. Una frontiera tribolata, spesso chiusa a causa delle tensioni politiche e diplomatiche tra Rabat e Algeri. Eppure così porosa da permettere il passaggio dei migranti verso le enclave spagnole di Ceuta e Melilla. «Molti migranti vengono qui per chiedere aiuto dopo un viaggio sofferto nel deserto», osserva padre Edwin. Qui «trovano quella realtà famigliare che è necessaria per ripristinare un minimo di serenità in persone che hanno vissuto esperienze durissime nel loro migrare». Nella parrocchia i migranti hanno la possibilità di mangiare, dormire, lavarsi, cambiarsi d’abito. «Nel 2021 - continua il missionario - abbiamo accolto 2.300 persone. Nei primi sei mesi di quest’anno ne abbiamo già ospitate un migliaio. Molti arrivano in condizioni terribili. Hanno ferite di tutti i tipi sul corpo, alcuni sono anche segnati nella psiche. Emigrare è un trauma che segna molti nel profondo dell’anima». Quando sono accolti nella parrocchia, i migranti vengono anche curati e assistiti nel miglior modo possibile. Li si aiuta a riprendersi dalle fatiche di un viaggio lunghissimo, iniziato nell’Africa subsahariana: Costa d’Avorio, Camerun, Guinea, Sudan, eccetera. «Il nostro non è un centro di accoglienza», conclude padre Edwin: «La nostra è una parrocchia cattolica che accoglie chi bussa al nostro portone. Il nostro unico intento è aiutare chi ha bisogno. Il nostro è lo spirito del buon samaritano. Vogliamo essere vicino agli ultimi e a chi soffre. Niente di più». (Enrico Casale Osservatore Romano, 14/09/2022) Oujda (Marocco): un giovane migrante ferito tra i padri Francesco Giuliani (a sinistra) ed Edwin Osaleh Duyani (a destra). * 9 novembre 2022 MC

BRASILE MC A Vedute alternative VOCI DI DONNE DALLE FAVELAS molti, di povertà, criminalità e promiscuità? Si potrebbe rispondere poche, o quantomeno poche sono quelle arrivate dal Brasile fino alle nostre latitudini, permettendoci di aprire una finestra su quel mondo. Un mondo troppo spesso raccontato proprio da coloro che hanno contribuito a creare e alimentare l’emarginazione sociale materializzata nelle favelas. di DIEGO BATTISTESSA 10 MC Povertà, criminalità e promiscuità: di solito, sono queste le parole che descrivono le «favelas», luogo simbolico del Brasile. Proviamo a capirle attraverso donne di favela come Carolina Maria de Jesus (morta nel 1977) e Marielle Franco (assassinata nel 2018). Oggi altre donne seguono il loro esempio di lotta e speranza. Delle favelas si parla molto, e forse ancora di più è stato scritto: libri, articoli e indagini accademiche. Ma quante voci hanno parlato della favela dalla favela? Quante volte abbiamo avuto la possibilità di ascoltare, direttamente e senza filtri, un racconto autentico proveniente da quel luogo «non luogo», incastonato nell’immaginario collettivo e diventato sinonimo, per Un nome che ha brillato negli ultimi anni per averle raccontate dal di dentro è sicuramente quello della compianta Marielle Franco: donna appartenente al collettivo Lgbtiq+, afrobrasiliana, madre single, politica, attivista per i diritti delle donne e baluardo contro tutte le discriminazioni del sistema capitalista, colonialista e patriarcale ben personificate dal presidente Jair Bolsonaro. © Mauro Pimentel - AFP

Marielle che dal sangue del suo martirio hanno trovato forza, ispirazione e coraggio. CAROLINA, FAVELADA DI SÃO PAULO Lo stesso giorno in cui Marielle Franco veniva uccisa, si celebravano i 114 anni della nascita (14 marzo 1914) di Carolina Maria de Jesus, la prima voce afrobrasiliana delle favelas a ottenere rilevanza mondiale. Un filo conduttore, dunque, ci porta da Rio de Janeiro a São Paulo e lega due donne afrobrasiliane che hanno vissuto la favela ma soprattutto hanno usato la loro voce come strumento di lotta politica, denuncia sociale e rivendicazione di diritti umani fondamentali. Negli anni Sessanta, Carolina ha preso «a pugni» il Brasile e il mondo squarciando il velo che copriva le reali condizioni di vita dei favelados. Dal cuore della favela Canindé, sulla riva del Tietê nella metropoli di São Paulo, la voce di Carolina è emersa in modo prepotente raccontando senza filtri il dolore e la fame. Nata il 14 marzo del 1914 a Sacramento, nello stato di Minas Gerais, successivamente emigrata nella metropoli paulense per lavorare come domestica e raccoglitrice di carta e ferro per la strada (lavoro ancora molto comune), Carolina ha vissuto di stenti e patimenti, lottando ogni giorno contro un mondo ostile, fatto di difficoltà, discriminazione, violenza e precarietà. Il suo unico rifugio era la scrittura, passione alla quale dedicava il poco tempo nel quale non lavorava, non doveva preoccuparsi dei suoi figli e non era così stanca da crollare sul giaciglio della sua baracca. Carolina ha coltivato sempre la speranza di vedere un giorno pubblicati i suoi scritti e di poter abbandonare la favela, luogo del suo quotidiano supplizio, un vero e proprio inferno in terra. Sapeva di non essere una raffinata ed erudita intellettuale, non aveva avuto accesso alle migliori scuole dell’élite bianca che governava (e che governa) quel Brasile in piena rivoluzione modernista, ma lei sapeva leggere e scrivere quanto bastava per consegnare a un diario le sue riflessioni, paure, speranze e sogni. Dopo alcuni tentativi falliti di pubblicizzare il suo lavoro di scrittrice, è stata scoperta dal giornalista Audálio Dantas che stava lavorando a un articolo sulle favelas. Quell’articolo, dove si parlava di Carolina e si faceva cenno ai suoi scritti, è stato poi pubblicato sul giornale O cruzeiro il 10 giugno 1959: Carolina Maria de Jesus aveva 45 anni e finalmente aveva realizzato il suo sogno. Ciò però che lei ancora non sapeva era che quello sarebbe stato solo l’inizio del suo viaggio. Infatti, tutto il suo diario, pubblicato inizialmente suddiviso in articoli sullo stesso giornale, sarebbe poi stato redatto in forma di libro nel 1960, causando un vero terremoto letterario. MARIELLE, FAVELADA DI RIO DE JANEIRO Marielle Franco, cria da favela da Maré (figlia della favela Maré) con una laurea in sociologia in tasca, ha rappresentato per molti anni una voce forte e determinata contro i soprusi vissuti dai favelados (abitanti della favela) di Rio de Janeiro. Le parole di Marielle, prima come attivista, poi come consigliera comunale (vereadora) di Rio de Janeiro, avevano colpito l’apparato di repressione della polizia che, fino a quel momento, aveva operato quasi completamente nel silenzio delle autorità amministrative (e spesso con il loro beneplacito). Parole tanto forti da essere silenziate con 13 colpi di pistola. Era il 14 marzo del 2018. Quella notte, in un vile attentato le cui responsabilità sono ancora da chiarire, Marielle è stata uccisa insieme al suo autista Anderson Gomes. Si spegneva dunque un baluardo delle rivendicazioni di una popolazione emarginata, non solo a Rio de Janeiro e non solo nelle favelas. Allo stesso tempo, però, fiorivano migliaia di altre novembre 2022 MC 11 Qui a sinistra: ricordando Marielle Franco (1979-2018), durante una delle ricorrenti manifestazioni popolari celebrate a Rio in suo onore e per chiedere giustizia. | In alto: il sorriso di Carolina Maria de Jesus (1914-1977), favelada di San Paolo e scrittrice. * A MC Donne afrobrasiliane | Favelas | Violenza Carolina Maria de Jesus è stata la prima afrobrasiliana a raccontare le favelas da dentro. "

LA FAME È QUESTA Preso il titolo di Quarto de despejo: Diário de uma favelada («Stanza della discarica: diario di un’abitante della favela»), l’opera di Carolina è stata tradotta in più di dieci lingue, arrivando a vendere oltre 100mila copie. Il libro è di una crudezza che ferisce, le parole vengono usate con una ingenuità che lacera e stordisce. I messaggi sono diretti, essenziali, ma di una forza che obbliga molte volte a distogliere gli occhi dal libro, prendere fiato e lasciare che i sentimenti prendano il sopravvento. Carolina scrive e parla all’altro Brasile, quello che non vive nella favela e che non la conosce, il Brasile bianco, «educato», che non deve preoccuparsi ogni giorno di procurarsi un pezzo di pane. Racconta la sua vita, la sua quotidianità, la fame. Questa parola, «fame», ritorna in modo costante, scandendo le giornate che si susseguono nel diario, quasi fosse la routine di una condannata: una litania che ci accompagna tra le pagine che raccontano la favela di Canindé, a São Paulo, tra gli anni 1955 e 1959. Sono riflessioni asciutte, a volte semplici ma taglienti e penetranti, come le seguenti: «21 luglio 1955 - Quando sono tornata a casa erano le 22:30. Ho acceso la radio. Ho fatto una doccia. Ho scaldato il cibo. Ho letto un po’. Non so dormire senza leggere. Mi piace avere tra le mani un libro. Il libro è la migliore invenzione dell’uomo». «8 maggio 1958 - È necessario conoscere la fame per saperla descrivere». «10 maggio 1958 - Il Brasile ha bisogno di essere gestito da una persona che ha già provato la fame. La fame è una grande maestra. Chi soffre la fame impara a pensare agli altri e ai bambini». «13 maggio 1958 - Sono andata a chiedere del lardo alla signora Alice. Mi ha dato il lardo e il riso. Erano le 21 quando finalmente ho potuto mangiare. E così il 13 maggio 1958 (settantesimo anniversario dell’abolizione della schiavitù in Brasile, ndr) io ho combattuto contro l’attuale schiavitù, la fame!». «ESISTE UNA FAVELA IN PARADISO?» Carolina era molto credente, anche Dio è spesso presente nelle sue riflessioni che provano a giustificare una situazione difficile, di estrema povertà e abbandono da parte delle istituzioni. I suoi sentimenti, tracciati esplicitamente nelle pagine del diario o comprensibili attraverso ciò che non è scritto ma che traspare dalle parole da lei usate, sono altalenanti. Passa da una fiducia cieca nella Divina Provvidenza a uno sconforto profondo che le fa * BRASILE 12 novembre 2022 MC © Wikifavela © Diego Battistessai pensare al suicidio. Uno dei passaggi più duri ed eloquenti su questo tema si trova alla data del 3 giugno 1958: «Quando sono a corto di soldi, cerco di non pensare ai miei bambini che chiederanno pane, ancora pane e caffè. Devio i miei pensieri al paradiso. Penso: ci sono persone lassù? Sono migliori di noi? Il loro dominio supererà il nostro? Ci sono nazioni così varie come qui sulla terra? O è un’unica nazione? Esiste una favela? E se c’è una favela lì, io vivrò nella favela anche quando morirò?». Il diario di Carolina è stato ripubblicato più volte. In Italia, è famosa l’edizione del 1962 di Bompiani, con la prefazione di uno dei più importanti intellettuali italiani del XX secolo, Alberto Moravia. Dopo Stanza della discarica, Carolina ha pubblicato altri testi che, seppur ben accolti dalla critica e dal pubblico, non hanno replicato il successo del primo. Carolina, scrittrice afrobrasiliana, donna coraggiosa e insorgente, è scomparsa all’età di 62 anni (era il 13 febbraio del 1977) senza aver mai potuto abbandonare del tutto la povertà e la precarietà. La notorietà acquisita con Quarto de despejo non le ha procurato la ricchezza sperata, anche se le ha permesso di migliorare la sua condizione e di lasciare la favela di Canindé nel Qui: Marielle Franco da viva e, dopo il suo assassinio, in uno dei tanti murales che la ritraggono. | A destra: veduta di una favela a San Paolo. *

A MC Forse pochi sanno che favela è il nome dato in Brasile a una pianta endemica (cnidoscolus quercifolius) e che la diffusione di questo termine in ambito urbano si relaziona con la «Guerra de Canudos» (1896-1897) che ebbe luogo nel sertão di Bahia. La città di Canudos, scenario di uno scontro politico religioso si ergeva in mezzo ad alcune colline, tra le quali vi era il Morro da Favela (Collina della Favela), così battezzato perché ricoperto dall’omonima pianta. Dopo la guerra, una parte dei soldati reduci dal conflitto, fecero ritorno a Rio de Janeiro ma, trovatisi senza stipendio, decisero di stabilirsi dentro alloggi precari da loro costruiti nel Morro da Providência (Collina della Provvidenza). Data una certa similitudine tra lo scenario di questa nuova sistemazione e la Collina della Favela vista a Canudos, i soldati battezzarono il nuovo insediamento Morro da Favela. È da quel momento che gli insediamenti di alloggi e case di fortuna, dove risiedono persone con un basso (o quasi nullo) potere d’acquisto, passarono a essere chiamati favelas. Le favelas sono presenti in tutto il Brasile (circa 800 solo a Rio de Janeiro) e si stima che siano abitate da 1520 milioni di persone. Nascita del termine «favela» All’inizio era (soltanto) una pianta © Danilo Alvesd - Unsplash WIKIFAVELA Considerati questi numeri non c’è da stupirsi che si parli tanto di favelas brasiliane. Vale la pena di segnalare un progetto dedicato a Marielle Franco, ovvero il portale «Wikifavela», un dizionario virtuale che combatte la discriminazione in Brasile. Proprio dal sito, disponibile in portoghese, inglese e spagnolo, possiamo leggere che: «Il Dizionario della favela è una piattaforma virtuale ad accesso pubblico per la produzione e la diffusione della conoscenza delle favelas e delle loro periferie. Mira a stimolare e consentire la raccolta e la costruzione delle conoscenze esistenti sulle favelas, collegando una rete di partner nelle università e nelle istituzioni e collettivi esistenti in questi territori. Il Dizionario della favela continua la lotta della consigliera comunale di Rio de Janeiro Marielle Franco e di molti altri leader della comunità contro il pregiudizio e l’esclusione, costruendo una società più giusta ed egualitaria». Importante ricordare anche l’Instituto Marielle Franco, uno spazio creato dalla famiglia della defunta attivista che vuole continuare a lottare per la giustizia, difendendo la sua memoria, moltiplicando la sua eredità e annaffiando i suoi semi. D.B. novembre 2022 MC 13

* BRASILE 14 novembre 2022 MC Renata Souza è già un simbolo. Lei è una «favelada» della Maré, figlia cioè dello stesso complesso di favelas al Nord di Rio de Janeiro dove è nata e cresciuta Marielle Franco, sua grande amica e fonte di ispirazione. Souza, 40 anni, deputata dell’Assemblea legislativa di Rio de Janeiro dal 2018, è già una figura politica di spicco, un grimaldello che apre i palazzi del potere e che permette l’accesso della periferia marginalizzata ed esclusa nelle sale dove si prendono le decisioni importanti. Niente è stato facile (e non lo è tutt’ora) per Souza, nel Brasile governato da Jair Bolsonaro dove razzismo, classismo e machismo sono all’ordine del giorno. Renata ricorda che una delle decisioni più importanti della sua vita la prese quando aveva solo 15 anni: decise che sarebbe diventata giornalista perché voleva raccontare la favela in modo diverso da come i media la dipingevano, senza pregiudizi, senza spettacolarizzazione della povertà e della violenza. Nel percorso universitario conobbe Marielle, e tra le due nacque un’amicizia forte, mischiata a militanza, attivismo e lotta politica. Nel 2006 Souza, che già svolgeva il suo lavoro/missione di reporter dalla favela, accettò di unirsi alla campagna elettorale di Marcelo Freixo (il 3 ottobre candidato di sinistra a governatore di Rio de Janeiro). Da quel momento non lasciò più la politica accompagnando la sua amica Marielle durante le elezioni e diventando il suo capo di gabinetto. Fino al 14 marzo del 2018, quando per lei il mondo cambiò completamente. L’omicidio di Marielle le provocò una ferita che ancora non si è rimarginata. Il dolore fu enorme, il più grande della sua vita, ripete Souza nelle interviste, ma la spinse a fare un ulteriore passo in avanti. Nelle elezioni del 2018 fu la candidata di sinistra più votata e da quel momento è stata una delle voci più determinate nell’emiciclo dell’assemblea di Rio de Janeiro. Per il suo impegno ha ricevuto minacce di morte da gruppi affini al «bolsonarismo» e ha dovuto abbandonare la favela. Da deputata ha promosso una legge per dare priorità alle indagini sugli omicidi di bambini e adolescenti oltre a varie misure per combattere «la violenza ostetrica» contro le donne afrodiscendenti. Alle elezioni dello scorso 3 ottobre è stata eletta deputata statale di Rio de Janeiro con 174.132 preferenze. In questo ruolo cercherà di portare ancora più in alto la voce della favela, le rivendicazioni del femminismo afrodiscendente e la lotta per i diritti umani. D.B. Chi è la possibile erede «Mi chiamo Renata Souza» © Andre Borges - AFP

A MC della lettura da parte delle classi popolari. Il suo lavoro è stato una grande fonte d’ispirazione per altre donne non appartenenti alle classi agiate, che hanno cominciato a scrivere sotto l’influenza di Carolina. Un elemento che colloca la sua voce tra le grandi personalità della letteratura brasiliana, come riconosciuto nel 2021 anche dall’Università federale di Rio de Janeiro che ha concesso alla scrittrice afrobrasiliana il titolo di dottore honoris causa postumo. São Paulo e il Brasile riconoscono oggi il valore storico, culturale, antropologico e simbolico di quelle parole arrivate dalla Stanza della discarica. Parole che mostravano una «razzializzazione» della povertà (una povertà cioè che aumenta di pari passo con la tonalità più scura della pelle) e che, per la prima volta, provenivano da dentro la favela, aggirando le fredde analisi urbanistiche, statistiche e sanitarie di giornalisti, politici e specialisti. Diversi sono stati gli omaggi riservati a Carolina Maria de Jesus in questo 2022. Uno dei più importanti è stato sicuramente la mostra ospitata dal prestigioso Instituto Moreira Salles, che si trova nell’Avenida Paulista, luogo simbolo del potere economico brasiliano: «Carolina Maria de Jesus: un Brasile per brasiliani». L’istituto Moreira Salles aveva già contribuito in passato a riconoscere l’importanza della figura di Carolina Maria de Jesus, quando ad esempio, il 14 marzo 2014 (per il centenario della sua nascita) proiettò per la prima volta in Brasile un documentario, realizzato nel 1975 dalla televisione tedesca West Germans intitolato «Favela: la vita in povertà», con la stessa Carolina protagonista. Altro omaggio è stato fatto il 23 aprile, durante il primo carnevale post pandemia di São Paulo, nel quale la sua figura è stata onorata dalla scuola Colorado do Brás con il tema: «Carolina, a Cenerentola Negra do Canindé». La scuola ha raccontato, in un corteo emozionante, la storia della scrittrice di Sacramento, passando per la città di Franca (dove Carolina aveva iniziato a vivere con un gruppo circense) e arrivando poi a São Paulo nella favela di Canindé. Svelando un volto doloroso del Brasile, la vita di Carolina è stata raccontata con serietà e rispetto dalla scuola, cosa che non ha impedito al corteo di essere colmo di bellezza e colori. Diego Battistessa © Helena Masson - Unsplash 1963, dove era arrivata 16 anni prima, nel 1947, all’età di 33 anni e incinta. «CENERENTOLA NEGRA» Dopo la sua morte, sono statipubblicati postumi una serie di lavori editoriali che raccoglievano il materiale prodotto da Carolina e che non aveva ancora visto la luce in forma di libro. Carolina Maria de Jesus ha inaugurato un nuovo filone nella tradizione nella letteratura brasiliana, partendo dall’appropriazione A sinistra: l’attivista e politica Renata Souza per le strade della favela Maré, a Rio de Janeiro (2 settembre 2022). | Qui sotto: una vista panoramica della favela di Rocinha, sempre a Rio de Janeiro. * Con la sua «Stanza della discarica» Carolina è entrata nella storia della letteratura brasiliana. "

KENYA MC A Dialogo con monsignor Hieronymus Joya, neo vescovo di Maralal SERVIRE CON «GIOIA» Turkana, Pokot, Rendille, Gabbra, a cui si sono uniti, specialmente nei centri principali, Somali, Kikuyu, Luo e Akamba. Una diocesi relativamente giovane, creata nel 2001 scindendo in due quella di Marsabit. Le uniche cittadine sono l’omonima Maralal, Wamba e Baragoi. Il primo vescovo è stato monsignor Virgilio Pante, missionario della Consolata, uomo molto atdi MARCO BELLO Una storia da uomo tranquillo, ma costantemente in ricerca. Il che lo mette di fronte a scelte importanti. Un passo dopo l’altro diventa missionario, poi, con la forza della mitezza, continua il suo servizio a vari livelli. E non smette mai di formarsi. Fino a quando papa Francesco lo chiama. tivo e presente sul territorio. Nel luglio scorso papa Francesco ha nominato padre Hieronymus Joya (pronuncia: gioia), 57 anni, come successore di monsignor Pante. Il 22 ottobre monsignor Joya è stato consacrato. Pure lui missionario della Consolata, è originario della diocesi di Bongoma, nell’Ovest del Kenya, in particolare di un villaggio, Asinge, a pochi chilometri dalla La diocesi di Maralal occupa una superficie di 20.800 chilometri quadrati, di territorio in prevalenza desertico. Vi sono alcune montagne, sulle quali le precipitazioni rendono il clima un po’ più umido e la zona più arborata. In questo lembo di terra nel centro Nord del Kenya vivono diversi popoli, in prevalenza allevatori nomadi: Samburu, 16 novembre 2022 MC © AfMC / Virgilio Pante

dire che è qui che comincia la mia vocazione». Il neo vescovo ci racconta un aneddoto famigliare: «Anche mio padre aveva fatto il seminario, ma non aveva potuto continuare, perché era l’unico maschio di cinque figli, quindi i suoi genitori preferirono che restasse a casa per occuparsi delle questioni di famiglia. Le figlie, nella tradizione, si sposano e lasciano la famiglia di origine. Così mio padre dovette lasciare il seminario. Poi si sposò e nascemmo noi, tre sorelle e cinque fratelli». E, sospirando, aggiunge: «Penso che sia stata la volontà di Dio, che uno dei suoi figli diventasse prete. E sono stato scelto io». LA CHIAMATA Poi ci racconta il suo primo incontro con i missionari della Consolata: «Nel 1985 eravamo in seminario, e, con i compagni, andavamo a leggere nella biblioteca. Padre Luigi Bruno della Consolata, portava la rivista The Call, e noi la leggevamo con interesse. Era il direttore vocazionale della Consolata. Noi eravamo curiosi. Gli scrivemmo una lettera per capire meglio chi fossero questi missionari della Consolata. Lui ci rispose, ma la sua lettera fu intercettata dal rettore del seminario che ci chiese perché avevamo scritto alla Consolata e se, quindi, avevamo rinunciato a diventare diocesani». Alla fine del periodo di studi, la scelta di fronte al giovane Joya era tra continuare per due anni la scuola superiore e diplomarsi, oppure andare in seminario a studiare teologia. Ma i suoi genitori gli dissero che non avevano abbastanza risorse e che avrebbe dovuto trovare un lavoro per aiutare a pagare gli studi alle sorelle e ai fratelli più piccoli. Nel frattempo padre Bruno lo aveva invitato al seminario di Kisumu per una settimana di conoscenza per aspiranti missionari. Hieronymus riuscì a parteciparvi, ma poi dovette scegliere il lavoro. LA STRADA IN SALITA «Andai a Kisumu, da uno zio, e iniziai a lavorare in una stazione di benzina. In questo modo misi da parte dei soldi e mi pagai il college, dove studiai marketing e strategie di vendita. Continuai gli studi anche grazie a un insegnante che mi pagò la metà dei frontiera con l’Uganda. Ha un parlare pacato e riflessivo il neo vescovo, che raggiungiamo telefonicamente. Si rivela subito molto disponibile. «Vengo da una famiglia molto cattolica», ci dice, «i miei nonni ebbero difficoltà a essere battezzati, perché durante il periodo coloniale non c’erano missioni nella nostra zona, quindi dovettero andare nella vicina Uganda. Poi i coloni decisero che la gente non poteva più passare la frontiera liberamente. Così il mio villaggio fu unito alla parrocchia di Kakamega, a circa 100 km da casa. I miei genitori furono battezzati lì. In seguito, nel 1926, fu aperta una parrocchia a Nangina, a circa 50 km dal nostro villaggio. Si andava a piedi, e talvolta occorrevano quattro settimane per andare, restare per il catechismo e poi tornare». Nel 1948 alcuni missionari aprirono la missione di Chakol, a sette km dal villaggio. Una parrocchia ancora attiva oggi. Monsignor Joya ci racconta che fu lì a Chakol che partecipò al catechismo e poi divenne chierichetto quando frequentava la scuola primaria. Durante l’ultimo anno il parroco chiese a lui e agli altri bambini se fossero interessati a proseguire gli studi nel seminario minore. «Nel dicembre 1981 feci domanda con altri quattro chierichetti. Passammo un colloquio, così nel 1982 iniziammo il seminario. Avevo passato il test anche in tre scuole pubbliche, ma scelsi il seminario: forse si può novembre 2022 MC 17 In queste pagine: alcune foto del tour che ha visto mons. Pante accompagnare mons. Joya nelle varie realtà della diocesi. | A sinistra: a Maralal, dopo la messa. | Qui: alla grotta della Madonna a Baragoi. * A MC " «I miei genitori mi dissero di non avere risorse e di cercarmi un lavoro». ©AfMC / Virgilio Pante Siccità | Ad gentes | Acqua | Conflitti tribali | Vocazione

Qui sotto: mons. Joya incontra gli allievi della scuola primaria della Consolata a Suguta. | Sopra: i due vescovi si danno la mano davanti alla Consolata samburu, a Barsaloi. * costi d’iscrizione. Una volta finito, nel 1987, trovai subito lavoro come contabile in un hotel». Il giovane Hieronymus non aveva problemi a trovare lavoro. Ne cambiò parecchi passando dall’ufficio vendite di una assicurazione alla gestione di un progetto che portava l’acqua potabile nella sua zona. Intanto padre Bruno continuava a scrivergli e nel 1989 lo invitò a visitarlo a Langata, nella periferia di Nairobi, dove gli aspiranti missionari della Consolata studiano. «Andai a visitare padre Bruno, che mi disse che se l’ostacolo era finanziario, non avrebbe chiesto nulla alla famiglia. Lui avrebbe potuto aiutarmi per fare la formazione con la Consolata». IL BIVIO «Quando tornai a casa, si era creata un’opportunità: la Henkel oil company, cercava un responsabile delle vendite per tutta la regione Ovest del Kenya. Feci il colloquio e lo passai. A quel punto il bivio era chiaro: andare alla Henkel o entrare dai missionari della Consolata? Andai un po’ in crisi. Ne parlai con mio padre e lui disse: «Sei tu che devi scegliere, ma parla anche con tua madre». Anche lei mi disse che la decisione era solo mia. Così io decisi di andare al corso di orientamento della Consolata, che si teneva nel marzo 1990. Dopo l’orientamento fui invitato al seminario della Consolata per iniziare ad agosto». Così l’esperto di vendite e marketing affrontò gli studi di filosofia e poi il noviziato tra il ‘93 e il ‘94. Fece la sua professione religiosa ad agosto di quell’anno e completò gli studi di teologia nel 1998. Nel frattempo era diventato diacono e venne ordinato sacerdote il 5 settembre 1998 nella sua parrocchia a Chakol. La sua prima missione fu a Loyangalani, cittadina sul Lago Turkana nel grande Nord, allora nella diocesi di Marsabit. L’ITALIA A PIEDI Monsignor Joya ricorda con fierezza la prima esperienza in Italia: «Nel 2000 andai in Italia per la celebrazione del Giubileo. Un gruppo di Lamon (Belluno), paese di monsignor Pante, aveva chiesto un sacerdote per essere accompagnato in un pellegrinaggio a piedi da Lamon a Roma. Percorremmo 650 chilometri in tre settimane». Fu durante quel soggiorno in Italia che poi andò a Torino, a visitare i luoghi storici del beato Allamano e * KENYA il santuario della Consolata. Al ritorno in Kenya, divenne parroco a Loyangalani e fu chiamato da monsignor Ambrogio Ravasi a fare parte del consiglio presbiterale della diocesi di Marsabit. In seguito, dal 2003, fu superiore del seminario filosofico della Consolata a Nairobi. A fine 2007 lo troviamo responsabile del centro pastorale di Maralal, che lasciò nel 2009 perché eletto vice superiore regionale (lavorando con padre Franco Cellana, superiore) e, dal 2011 al 2016, divenne superiore regionale dei missionari della Consoalta di Kenya e Uganda. Ritornato poi come formatore al seminario filosofico di Langata, ricevette l’incarico dal consiglio generale di valutare e preparare la nuova apertura in Madagascar, avvenuta nel 2018. Riprese pure gli studi, portando a termine un dottorato di ricerca in pastorale. «La mia missione è stata nel Nord del Kenya, con i nomadi, e a Nairobi, per gli studi. 18 novembre 2022 MC © AfMC / Virgilio Pante © AfMC / Virgilio Pante

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=