Missioni Consolata - Ottobre 2022

dopo aver visto quanto è bella, grande, progredita la vita del missionario. Più la vita del missionario è attraente, più può fare un discorso di civilizzazione e di evangelizzazione. Secondo questo modello, la gente deve andare alla missione, la quale, quindi, ha bisogno di un gruppo consistente di personale e di grandi capitali. Ciò che Perlo e gli altri non hanno. Allora inventano uno stile di missione nel quale sono i missionari ad andare verso la gente. La cosa più importante non è la struttura della missione ma il contatto con le persone. Le missioni sono solo baracche di fango e terra battuta, piccolissime, sufficienti per poter dormire una notte. Solo i magazzini per stipare il materiale proveniente dall’Italia devono essere grandi. Alla fine del 1902, le missioni sono a Limuru (procura, vicino alla ferrovia), Tuthu e Murang’a, e Tetu (che diventerà la base per creare la missione di Nyeri). Non più un’unica missione importante, ma diverse piccole missioni. Il primo Murang’a Per decidere come deve essere la missione e tracciare le linee orientative di una metodologia missionaria comune o - come si esprimerà padre Borda - «un regolamento particolare sulla vita e sull’azione dei missionari», tutti i sacerdoti (tranne padre Mario Arese di Limuru) si incontrano a Murang’a dal 1 al 3 marzo del 1904: il mattino è dedicato a meditazione e preghiera (Gays), il pomeriggio alle conferenze (Perlo). L’esperienza è valutata positivamente dai missionari in quanto possono rinsaldare i legami di fraternità, ricaricarsi spiritualmente e ricevere indicazioni pratiche. Le conclusioni sono inviate a Torino e, in attesa dell’approvazione dell’Allamano, una copia viene inviata a tutte le stazioni di missione. Il 6 maggio ricevono l’approvazione dell’Allamano: «Approvo tutte le conclusioni senza eccezione, e desidero che si eseguano in ogni loro parte». Riprodotte da suor Scolastica Piano (delle suore Vincenzine del Cottolengo), ricevono il titolo di: «Conclusioni delle conferenze tenute nella stazione del Sacro Cuore di Gesù a Fort Hall il 1-2-3 marzo 1904, presenti i padri missionari: Filippo Perlo, Tommaso Gays, Antonio Borda, Gabriele Perlo, Rodolfo Bertagna, Giuseppe Giacosa, Sebastiano Scarzello, Francesco Cagliero, Domenico Vignoli e Gaudenzio Barlassina». [...] «Quanto in esse è proposto era frutto dell’esperienza già collaudata nella vita quotidiana dei missionari. Dal confronto di questa realtà con i principi appresi in Italia e con i metodi sperimentati da altri missionari, il gruppo di “principianti” del Kikuyu cercò un proprio metodo di evangelizzazione. Essi avvertirono che la via della conversione dei Kikuyu era assai più lunga di quanto potesse apparire in Italia e compresero che i buoni rapporti con gli indigeni e le autorità locali erano solo la premessa di un termine a lunga scadenza» (A. Trevisiol, Uscirono per dissodare il campo, Roma 1989, 82-83). Elaborazione di un metodo I missionari elaborano allora un proprio piano di evangelizzazione così formulato nel primo paragrafo delle «conclusioni»: «Dato il carattere e i costumi dei Kikuyu, i mezzi migliori per iniziare le nostre relazioni con essi pare si possano ridurre ai seguenti: catechismi, scuole, visite ai villaggi, ambulatori alla missione, formazione d’ambiente. [...] Con i catechismi, che richiesero quasi subito la formazione di un corpo di catechisti, si inculcavano le prime nozioni di religione naturale. Le scuole miravano a formare una élite che avrebbe coadiuvato i missionari nell’approccio con i Kikuyu. Gli ambulatori, che segnarono la prima attività a favore degli indigeni in missione, venivano intesi come mezzo per rendere credibile il missionario e assicurargli la simpatia della gente. Le visite ai villaggi, che ricordavano il metodo del Massaia, assunsero caratteristiche proprie: servivano alla conoscenza reciproca ed erano il mezzo più valido per l’enunciata formazione dell’ambiente, consistente nell’istruire la popolazione in modo che, in massa, fosse preparata a ricevere il battesimo, qualora si desse il caso di pericolo di morte» (A. Trevisiol, Ibidem 84-85). «Per i Missionari della Consolata nel Kikuyu le conferenze tenute a Murang’a nel 1904 segnarono un punto di riferimento anche per molti anni successivi, sebbene siano state ripetute con regolarità annuale. Torino le incoraggiava e ne vagliava i risultati che venivano di volta in volta approvati. L’essenziale stava tuttavia nel tradurre in pratica le decisioni prese. Una verità tanto evidente non sfuggiva certo ad un uomo come monsignor Perlo, il quale, appena ne ebbe gli strumenti, fece pubblicare le direttive e le inviò alle singole missioni» (A. Trevisiol, Ibidem, 87). Giovanni Crippa 40 ottobre 2022 © AfMC / Domenico Brusa ossier

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