sce a dare un senso alla propria vita perché c’è la speranza di ritrovarli, vivi o morti, pur di non restare nell’incertezza, che è devastante (vedi box). Una volta raggiunto questo obiettivo, allora la missione diventa aiutare le altre donne - spiega Zamburru -. È un meccanismo psicologico di sublimazione per cui si investe in qualcosa di superiore: lo spirito del gruppo, che crea appartenenza, spezza la solitudine e permette di condividere dolore, rabbia e impotenza». RESTI UMANI E DNA «Cantiamo senza paura, chiediamo giustizia/ Gridiamo per ogni scomparsa/ Che risuoni forte: Ci vogliamo vive!». L’inno della cantautrice Vivir Quintana contro i femminicidi echeggia nello scuolabus giallo messo a disposizione dei búscadores dalle autorità di Hermosillo, la capitale di Sonora: uno degli stati con il maggior numero di segnalazioni di scomparsi, oltre 600 l’anno. Inghiottiti dal deserto, 300mila km² (vale a dire quasi quanto l’Italia) dove bastano cinque minuti per perdere l’orientamento, dov’è facile venire aggrediti da criminali o animali pericolosi, oppure morire di sete e stenti mentre si viaggia verso Nord, verso la frontiera con gli Stati Uniti. In questi territori inospitali «le búsquedas - organizzate di concerto dalle associazioni dei familiari e dalle istituzioni pubbliche - si svolgono con la scorta di polizia, esercito, protezione civile, Comisión nacional de búsqueda ecc., per il rischio sempre incombente di venire assaliti dai narcos e da delinquenti comuni», racconta Zamburru. Già molti genitori sono stati uccisi per aver cercato i propri figli, ma «quando ti tolgono un figlio, non hai più paura di niente», dice Cecilia Delgado. «Le nostre armi sono la pala, il piccone e la varilla». Quest’ultima è un’asta di metallo appuntita a forma di «T», che si conficca nel terreno per poi annusarne l’estremità: se emana cattivo odore è un «buon» segno, lì sotto potrebbero trovarsi Persone scomparse | Migranti | Narcos | Corruzione A MC 19 luglio 2022 MC Buone leggi, cattive prassi Negli ultimi anni, le istituzioni pubbliche messicane hanno tentato di reagire alla violenza e alle sparizioni forzate mediante una serie di misure a sostegno delle vittime e dei loro parenti. Lo stato di Baja California ad esempio, secondo le parole del segretario generale di governo Amador Rodríguez Lozano, si è impegnato nello stanziamento di un «Fondo per la riparazione globale dei danni» con un budget di circa 4 milioni di pesos (circa 186mila euro). A livello federale, dal 2013 la Ley general de víctimas garantisce la tutela delle vittime con riferimenti circostanziati al rispetto della loro dignità, alla salvaguardia del benessere fisico e psicologico, alle condizioni di sicurezza, al sostegno economico e occupazionale, ecc., sottolineando il diritto fondamentale a ricevere «assistenza, protezione, attenzione, verità, giustizia, riparazione integrale (individuale, collettiva, materiale, morale e simbolica)». La legge prevede anche un sussidio per i familiari - messicani e stranieri - costretti ad abbandonare casa e lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca dei desaparecidos. «Un’ottima norma, che però rimane spesso lettera morta», spiega Ugo Zamburru del collettivo Carovane migranti. Durante la Brigada internacional de búsqueda, insieme ad Ana Gricelides Enamorado, madre e attivista del Movimiento migrante mesoamericano, ha accompagnato alla procura della repubblica di Città del Messico una donna salvadoregna, Silvia Artiga Castaneda, che anni prima aveva denunciato la scomparsa del figlio. «All’epoca Silvia era convinta di aver fatto tutto il necessario, ma abbiamo scoperto che la procura non aveva neppure aperto il fascicolo d’inchiesta. Ufficialmente quel caso di desaparición non esisteva. Quindi, oltre a non fare nulla per cercare il ragazzo, non le avevano riconosciuto alcun sostegno economico». Attraverso l’intervento di Ana Enamorado e del Movimiento migrante mesoamericano, impegnato nella ricerca dei desaparecidos, nella lotta contro le reti di violenza e le politiche di oppressione dei migranti, e nella capacitación (empowerment) dei familiari, «dopo lunghe trattative e la minaccia di far intervenire un avvocato, si è ottenuto che a Silvia venisse pagato il viaggio e fornito il visto, e si sono attivate le ambasciate di Messico ed El Salvador per occuparsi del caso. Malgrado ciò che le leggi prescrivono, la strada per il rispetto dei diritti resta lunga e difficoltosa». S.Ga. © Ugo Zamburru
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