Missioni Consolata - Maggio 2022

Pagina precedente: manifestazione pro golpisti a Ouagadougou in Burkina Faso. Le foto sono dei capi delle giunte di Mali (sinistra) e Burkina (25/01/22). Qui: tifoso della squadra di calcio del Mali alla Coppa d’Africa a Limbé (Camerun), con il ritratto del golpista Assimi Goïta (26/1/22). Sotto: cartina con i paesi della Cedeao, in evidenza i tre sospesi. * * * * 52 maggio 2022 MC Tra la metà del 2020 e il gennaio 2022 si sono verificati quattro colpi di stato in tre paesi della regione. Le giunte militari che hanno preso il potere e avviato transizioni in regime speciale, hanno tutte dichiarato di voler riportare i paesi a elezioni democratiche. Gli stati interessati sono: Mali, Guinea e, per ultimo, Burkina Faso. Tutti e tre sono stati sospesi dalla Cedeao e il primo è stato sottoposto a embargo e sanzioni. Vista la concomitanza di questi eventi, ci sembra importante fare il punto sui fatti accaduti e sulle loro conseguenze, senza la pretesa di essere esaustivi. Gettiamo uno sguardo sull’area per fare emergere le tendenze comuni dei singoli colpi di stato, e gli elementi di originalità di ciascuno. MALI È il 18 agosto 2020 quando un gruppo di militari, comandati dal colonnello Assimi Goïta, mette bruscamente fine alla presidenza di Ibrahim Boubakar Keita, detto Ibk. Anche in Mali il gruppo di potere è stato fortemente contestato e accusato di corruzione, in particolare dopo le legislative di aprile (ne abbiamo parlato in MC novembre 2020). Le manifestazioni di piazza sono state represse dalle forze di sicurezza, che hanno lasciato sul campo morti e feriti. È stato in particolare il Movimento 5 giugno - Raggruppamento delle forze patriottiche (M5-Rfp), a guidare il dissenso: una convergenza di elementi della società civile e partiti di opposizione. I militari hanno approfittato di questo slancio popolare per realizzare il colpo, battezzandosi Comitato nazionale di salute del popolo (Cnsp). È bene ricordare che il Mali, dal 2012, vive una guerra interna contro i movimenti indipendentisti e jihadisti nati nel Nord del paese, anche a causa di influenze straniere dell’islam radicale, e propagatisi nel centro prendendo una rischiosa piega di tipo etnico. Conflitto che vede l’intervento esterno francese nel gennaio 2013, poi affiancato dalla presenza di un contingente di caschi blu dell’Onu (Minsuma), una delle missioni con maggiori perdite tra gli effettivi (cfr MC giugno 2017). Nel 2015 sono stati firmati degli accordi di pace tra il governo e una parte dei gruppi in conflitto. La giunta, che prende il potere nell’agosto 2020, sotto pressioni della Cedeao e in negoziazione con M5-Rfp, insedia un presidente civile Bah N’Daw (ex militare ed ex ministro in pensione) e un primo ministro civile, Moctar Ouane, per il governo di transizione. Goïta, che rimane l’uomo forte, mantiene la carica di vice presidente. GOLPE SU GOLPE Qualcosa si incrina quando, nel maggio 2021, il primo ministro pensa di cambiare i due responsabili dei dicasteri chiave di difesa e sicurezza. La giunta reagisce il 24 maggio, facendo arrestare presidente e primo ministro di transizione e imponendo altri due militari come ministri. Si parla di secondo colpo di stato, questa volta contro le istituzioni di transizione, quindi non democratiche. Di fatto è un ribadire, chi comanda effettivamente nel paese, già in stato di emergenza. «Sembra che la Francia avesse fatto pressioni sul governo per cambiare questi due ministri e metterne due più favorevoli alla propria politica. I due licenziati avevano studiato in Russia e stavano interagendo per creare una relazione con quel paese. È stata un’operazione un po’ maldestra», ci dice un cooperante che da anni vive nel paese saheliano. Già da un po’ di tempo Goïta stava percorrendo la pista russa, nell’ottica di avere militari (o miliziani) in grado di realizzare anche lavori «sporchi». La tendenza è quella di sostituire l’appoggio militare dell’ex colonizzatore francese, in un certo senso fallimentare, con quello russo. Allo stesso tempo già dal 2019, la Francia, per ragioni anche interne, aveva optato per un disimpegno sul terreno (ritiro gradualdella missione Barkhane con 5mila uomini e mezzi), promuovendo la creazione della Task force Takuba (estate 2020), una forza a base di militari della AFRICA OCCIDENTALE © Issouf Sanogo /AFP

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=