Missioni Consolata - Maggio 2022

44 maggio 2022 tempo fa alcuni di noi lavoravano in città, ma ora è quasi tutto fermo. Al momento non riceviamo nessun aiuto, e anche i Talebani, qui non si sono mai visti». Sherin Shafi mi guida attraverso le viuzze del villaggio, stradine che non hanno asfalto ma solo terra battuta e fango. Tra questi vicoli ci sono anche delle scuole: piccole strutture con insegnanti volontari che insegnano a ragazzi dai 6 ai 14 anni le materie principali. Le classi sono divise tra uomini e donne in orari diversi. È qui che incontro Sayed, uno dei maestri: «Ho studiato in Pakistan quando ero giovane. Lì ho imparato anche un po’ di inglese. Insegno quasi a titolo gratuito. Fino all’arrivo dei Talebani, le famiglie mi davano quel che potevano, spesso mi pagavano con del cibo. Adesso, nessuno più lavora, questa gente è abbandonata. Pochissimi si interessavano a loro già prima dei Talebani, ora che anche quasi tutte le organizzazioni umanitarie sono andate via, non so che futuro potranno avere. Io continuerò a insegnare. L’istruzione, il sapere, la conoscenza, sono tra le poche cose che non ti possono togliere, le uniche che possono dare una speranza. Per questo continuo a insegnare, e lo faccio con ragazzi di tutte le età, con chiunque voglia imparare, come vedi in questa classe». A Kandahar, in fila per la farina e i legumi Sono ancora tanti gli «invisibili», quelli che non sono rientrati nei piani di evacuazione di agosto e che non potranno, comunque, mai permettersi il denaro per poter andare via. In alcuni luoghi in particolare, come a Kandahar, la situazione è drammatica. Kandahar è - e lo era anche prima del ritorno dei Talebani - una delle province più conservatrici dell’Afghanistan. Qui è quasi impossibile vedere una donna adulta che non abbia il viso coperto dal burqa. Anche a Kandahar per muoversi e intervistare qualcuno, ho bisogno di permessi speciali rilasciati dal capo locale dei Talebani che, pure qui, si dimostra particolarmente cordiale nei miei confronti, raccomandandomi di fargli fare «bella figura» quando scriverò. Come a Kabul, anche a Kandahar la percezione che si ha per le strade non suggerisce una situazione tranquilla. Decine di checkpoint con guardie armate, centinaia di persone in coda ad aspettare gli aiuti: un sacco di farina, un sacchetto di legumi. Le Ong internazionali rimaste qui, a lavorare sono pochissime. Sono ancora presenti la Croce rossa internazionale e il World food program. Altre organizzazioni come Emergency e Medici senza frontiere cercano di inviare aiuti direttamente negli ospedali ancora funzionanti. Mi reco al centro di distribuzione del World food program dove una dozzina di uomini scaricano grandi sacchi di farina destinati ai bisognosi. Abdullah, il responsabile, racconta: «Lavoro qui come volontario da sei anni, ma non ho mai visto così tanta gente aver bisogno di cibo come in questo momento. Le donne che vedi fanno la fila per ricevere un aiuto. Noi le registriamo in modo che nessuno prenda il cibo due volte o prima del proprio turno. Possiamo distribuire un sacco di farina per 250-300 persone al giorno. Al Qui: reparto pediatrico dell’Ospedale centrale di Kandahar. | Sotto: un bambino recita il Corano in una scuola coranica di Kandahar. | A destra: uomini in preghiera fuori dalla moschea di Shah-e Doh Shamshira, a Kabul. | In basso: studenti (tutti maschi) nella scuola del villaggio «numero 52». o

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