Missioni Consolata - Aprile 2022

ganizzate» sperano che la vita in quel luogo, nella loro esistenza di profughi, sia transitoria. I campi poi concentrano al loro interno gruppi e famiglie con origini e storie completamente diverse: non tutti, ad esempio, sono profughi di guerra, eppure, tutti sono costretti a vivere lì. Tutte le comunità, sia quelle stanziali, sia le poche che ancora possono definirsi «nomadi», vengono accomunate da una «ragionevole» esclusione da forme abitative diverse dal campo. Tutti i campi, poi, devono essere luoghi isolati e invisibili, posti spesso nei pressi di fiumi, ferrovie e tangenziali, accanto a discariche o direttamente su terreni avvelenati di rifiuti tossici, in prossimità di svincoli autostradali e, soprattutto, con un valore fondiario molto basso. In Piemonte, la giunta attualmente al governo ha proposto, grazie all’«ingegno» di un assessore leghista, una «nuova» legge regionale che prevede il ritorno alle «aree di transito»: i «nomadi» sarebbero autorizzati a soggiornare in queste aree per tre mesi al massimo. Per avervi accesso, essi sarebbero chiamati a soddisfare requisiti di «idoneità morale». Inoltre, è previsto un sistema di videosorveglianza in tutte le aree. Il testo della proposta di legge regionale rende più che mai evidente quanto il processo di etnicizzazione e criminalizzazione delle popolazioni che abitano i campi sia profondo, radicato e normalizzato. E quanto sia funzionale alla propaganda politica, ossia a raccogliere qualche manciata di voti alimentando una crescente richiesta securitaria. Manuela Cencetti Rom, rifugiati nei margini MC renza altamente specializzati. Se «inclusione» è una parola chiave, di fatto si viene a creare una vera e propria «specializzazione dell’esclusione». Se il caso di Milano è paradigmatico, quello di Torino lo è forse ancora di più. Il capoluogo piemontese, infatti, vanta vari primati nella «gestione» delle popolazioni rom e sinti. Torino è stata la prima città a superare la fase transitoria: prima della legge regionale del 1993, aveva già più di un campo sosta. Alla fine degli anni ’70 se ne contavano due ufficiali e altri ufficiosi. Torino è stata anche la prima città a istituire un Ufficio stranieri e nomadi, che lo scorso anno ha cambiato nome in favore del più politicamente corretto Ufficio stranieri e minoranze etniche, sempre però all’interno del servizio Informa stranieri e nomadi della divisione servizi sociali. Abitare nei ghetti per legge Arriviamo quindi ai decenni nei quali, in Italia, le regioni iniziano a legiferare per tutelare il «diritto al nomadismo» e le amministrazioni delle medie e grandi città cominciano a costruire i cosiddetti «campi nomadi». Si tratta di una politica locale che si espande a partire dal Nord. In nome dell’obiettivo dichiarato di tutelare la «loro cultura», si determina per legge una segregazione sociale e spaziale, un «abitare razzista» riservato a Rom e Sinti, considerati indistintamente «nomadi». L’Italia, come evidenziato dal già citato report dell’European Roma Rights Center del 2000, diventa il «paese dei campi». Uno degli esempi più tragici riguarda le popolazioni rom in fuga dalle guerre balcaniche degli anni ’90: una volta arrivate in Italia, comunità che da secoli erano stanziali in Jugoslavia e che vivevano in case, sono costrette a «riziganizzarsi» e a vivere in campi senza fognature, in abitazioni fatte di roulotte, container o baracche. Per molti Rom, l’esperienza del campo rappresenta un vero e proprio shock. Le persone «riziaprile 2022 47 Qui: 10 settembre 2020, sgombero di singoli e famiglie dal micro insediamento in via Reiss Romoli (tra cui anziani, malati, minori e una donna incinta). Qui a destra: aprile 2018, sequestro senza preavviso di una baracca in via Germagnano, inizio del «Progetto speciale campi nomadi». Sotto: 26 febbraio 2015, sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio. Distruzione di centinaia di baracche in un solo giorno. Trecento persone si ritrovano di colpo in mezzo alla strada, senza alcuna alternativa abitativa. Alle persone non viene dato nemmeno il tempo di mettere in salvo le proprie cose, ai malati non è permesso recuperare le medicine.

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