Missioni Consolata - Aprile 2022

La presenza delle popolazioni romanì in Italia è molto variegata e complessa. La sua rappresentazione pubblica, veicolata spesso da personaggi politici e da un certo giornalismo, è solitamente negativa, stereotipata e pregiudiziale. Qualsiasi episodio di cronaca che riguardi più o meno da vicino una persona rom, o un insediamento nel quale vivono persone rom, rumene, slave, tutte indifferentemente etichettate come «nomadi», è sempre occasione per emettere condanne e riscuotere consensi. La rappresentazione negativa di queste persone si è cristallizzata nell’arco di decenni anche nella produzione di leggi regionali che istituiscono i «campi sosta» come luoghi adatti alla vita di Rom e Sinti per via della loro presunta «cultura nomade», sinonimo, per secoli, di vagabondaggio, delinquenza e devianza. Ma l’equazione «Rom = nomadi» è un’interpretazione falsa e antistorica. Essa continua a definire gruppi, famiglie, comunità intere, come non adatte al vivere «civile», asociali e sempre potenzialmente criminali. La loro presenza deve essere perennemente temporanea. Pertanto, l’unica politica abitativa pensabile per «loro» è un campo, possibilmente in un luogo isolato. Il paradosso è che in questo modo, l’unico nomadismo che si può riscontrare in queste popolazioni è quello forzato, voluto dalle istituzioni. È importante ricordare che dietro a ogni etichetta esiste un mondo di politiche e di pregiudizi. Attraverso le etichette si costruiscono ruoli, definizioni, identità burocratiche che servono a gestire e categorizzare «l’altro», «lo straniero», oppure gruppi o soggetti considerati devianti. Le parole tracciano confini tra la società maggioritaria e il «nemico interno», tra chi è civile, un buon cittadino, e chi non lo è. Oltre alle etichette che definiscono soggetti o gruppi interi, esistono gli «spazi», in questo caso i «campi nomadi», che a loro volta producono gruppi precisi. Ossia, insiemi di persone che, per il solo fatto di essere residenti nel campo, vengono etichettate in un certo modo. Abbiamo, quindi, un’ulteriore equazione: le persone rom, dopo essere definite nomadi per natura, coincidono con chi vive in un campo. Non importa se gli abitanti di un campo si autodenominano Rom oppure no: vivono in un campo, quindi sono Rom e, naturalmente, nomadi. Al di fuori del campo, non godono della stessa cittadinanza né degli stessi diritti di cui godono tutti gli altri cittadini. Baraccopoli d’Italia Secondo l’Associazione 21 luglio la gran parte delle popolazioni romanì in Italia vive in case o in altre soluzioni abitative sicure e regolari. Circa 17.800 Rom e Sinti, di cui più della metà minori, vivono invece in baraccopoli, legali o illegali, edifici occupati, capannoni abbandonati, casolari fatiscenti, ecc. Usiamo il termine baraccopoli anche per riferirci ai cosiddetti «campi nomadi» formali (costituiti da baracche, roulotte, tende, container), la maggioranza dei quali si trova nelle città di Torino, Genova, Milano, Brescia, Pavia, Padova, Bologna, Reggio Emilia, Roma, Napoli, Foggia e Bari. Essi rientrano nella definizione di baraccopoli dell’Agenzia delle Nazioni Unite Un-Habitat perché «luoghi in cui gli abitanti non hanno sicurezza di possesso, dove le abitazioni risultano estromesse dai principali servizi base e non conformi ai criteri stabiliti dai regolamenti comunali o situate in aree pericolose dal punto di vista geografico e ambientale. [...] gli abitanti delle baraccopoli [inoltre] non hanno a disposizione spazi pubblici e aree verdi e sono esposti a sgomberi, malattie e violenza». In Italia esistono 109 baraccopoli istituzionali presenti in 63 comuni e in 13 regioni. In esse vivono 11.300 persone. Di queste, il 49% ha cittadinanza italiana e il 10% cittadinanza rumena. In questi luoghi l’aspettativa di vita è di 10 anni inferiore a quella del resto della popolazione italiana. Il 55% dei loro abitanti ha meno di 18 anni. Nelle baraccopoli informali e nei microinsediamenti la quasi totalità delle persone presenti risulta essere di origine rumena. In base all’analisi dei dati elaborati dall’Associazione 21 luglio tra l’inizio del 2020 e la fine del primo semestre del 2021 l’Italia si conferma il «paese dei campi», il paese europeo che impiega la quantità più alta di risorse umane ed economiche per il mantenimento di questi ghetti. M.C. Rom, rifugiati nei margini MC Il peso delle parole e l’emergenza abitativa A sinistra: 26 febbraio 2015, sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio, il Platz, Torino. Qui: 10 settembre 2020, baracca abitata in via Reiss Romoli. Giorno dello sgombero. aprile 2022 45

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