verso l’Europa occidentale. Con la fine della schiavitù in Moldavia e Valacchia, la presenza delle comunità rom si espande anche nelle regioni dell’Europa centrale e, con il tempo, in Austria e Germania. A fine Ottocento, i contributi lombrosiani alla «razziologia criminale» iniziano a rendere gli «zingari» una categoria giuridica a sé, criminalizzandola. In Germania e Francia si creano uffici appositi per la gestione dei soggetti «zingari». Tra il 1942 e il 1945, almeno 500mila Rom sono uccisi nei lager anche in seguito a queste teorie. La Germania nazista e i paesi dell’Asse mettono in atto lo sterminio delle popolazioni romanì, chiamato dalle comunità sopravvissute il «barò porrajmos», il «grande divoramento». La Germania nazista elimina i Rom sulla base di genealogie e «diagnosi razziali» prodotte dai due antropologi eugenisti Robert Ritter e Eva Justin. nianza la produzione continua di decreti: quasi uno all’anno, tra il 1493 e il 1785, nei piccoli stati italiani, compreso lo Stato della Chiesa, con forze speciali e milizie dedicate all’applicazione delle norme attraverso vere e proprie cacce a «questa razza di gente», come vengono definiti i Rom nell’Italia tra Cinquecento e Settecento. La lotta antizingara si inserisce in una più ampia guerra al vagabondaggio, utile a proletarizzare mendicanti, reietti e fuorilegge nella transizione epocale dal feudalesimo al capitalismo. I Rom vengono considerati, però, una categoria a parte, dato che la loro marginalità è utilizzata dagli stessi Rom per sfuggire alla proletarizzazione e mantenere la loro autonomia. Si determina in questo modo una spirale sanguinaria: alla violenza della società maggioritaria, i Rom oppongono forme di resistenza e disobbedienza. Nel corso del tempo, con il rafforzamento dello stato moderno e dei suoi apparati, i Rom diventano l’emblema di quello che il buon cittadino non deve essere, e quindi etichettati come non cittadini, stranieri interni, privi di diritti. Come sostiene Piasere, «lo stato moderno nasce anche sull’antiziganismo». Molti di questi gruppi o comunità, per secoli, sono perseguitati, mettendo a dura prova la loro stessa esistenza. Nel corso del Cinquecento e del Seicento, alcuni gruppi di Rom resistono anche attraverso le armi. Il paradosso dell’Occidente risiede nell’uso della violenza contro i «risultati» delle sue stesse politiche: più perseguita i Rom per la loro organizzazione sociale «a polvere» (come la definisce Piasere), più i Rom la fanno propria, sparpagliandosi, incontrandosi, disperdendosi. Fino al «grande divoramento» Nel corso del Settecento inizia a svilupparsi lo studio delle razze e l’evoluzionismo. Ora non esistono più le razze «maledette», ma quelle «selvagge», considerate inferiori perché non evolvono e presentano limiti biologici. Più avanti, nell’Ottocento, grazie ai contributi di Lombroso, gli «zingari» smettono di essere considerati «selvaggi di casa nostra», e iniziano a essere «razza delinquente atavica». L’Ottocento è un secolo nel quale, a seguito di diversi conflitti, riprendono i movimenti migratori dei Rom. Nuovi flussi si muovono dai Balcani ossier 40 aprile 2022
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