«Quando arrivano qui, ci sono per loro tre possibilità: andare in Europa, ma pochissimi riescono; rimanere in Marocco, ma anche ottenere i documenti per lavorare qui è complicato. La terza possibilità è quella di ritornare al proprio paese. Ci sono quelli che vogliono fare lo stesso viaggio a ritroso, ma è complesso. Con diversi di loro iniziamo il processo di rimpatrio con l’Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni, ndr), che può prendere settimane o mesi. In questo tempo i migranti rimangono qui, e facciamo loro dei corsi di formazione». Edwin ci racconta la storia di uno dei tanti. «È con noi un ragazzo di 15 anni della Sierra Leone, arrivato 5 mesi fa. Il suo sogno era di andare in Europa. Ha un fratello maggiore in Spagna. Ho cercato di dissuaderlo, ma lui ha insistito, e così ho fatto una ricerca per trovare il numero del fratello. Siamo riusciti a telefonargli. Lui gli ha sconsigliato di proseguire, dicendogli di tornare a casa: “Qui le cose non sono come pensi”. Il ragazzo ha iniziato a piangere, dicendo: “Non mi vuole bene”. Io gli ho detto: “Guarda, sono stato in Europa e sta dicendo la verità”. Poi c’era anche una divisione nella famiglia, perché la madre voleva che continuasse. Alla fine hanno accettato, e ora abbiamo iniziato le pratiche per il rimpatrio con l’Oim». Le donne che arrivano sono invece rare: «Non si possono fermare da noi, non siamo attrezzati, ma le suore se ne occupano e trovano loro una sistemazione. Poi le seguono e propongono dei corsi di formazione». UNA MISSIONE… EUROPEA Questa missione è stata ideata e voluta dal gruppo di padri e laici di Malaga e dipende dalla Regione Europa, anche se si trova in Africa. Edwin, inoltre, è consigliere regionale (ovvero uno dei cinque membri del consiglio che guida i Missionari della Consolata del continente). Gli chiediamo in che modo si sente parte dell’Europa: «Penso sia stato lo Spirito che mi ha spinto a questa decisione. Io creo il legame con la regione, questa missione ne fa parte. Siamo ad gentes, lavoriamo e parliamo con non cristiani. Viviamo la consolazione e parliamo di Gesù, non tanto con le parole, ma con le nostre azioni, con la nostra vita». La missione ha un legame stretto con la comunità di Malaga. Ora che è più difficile viaggiare, a causa della pandemia, viene organizzato un incontro online ogni due settimane. Vi partecipano i missionari di Oujda e alcuni membri dell’équipe, insieme ai laici e ai padri di Malaga. Ogni incontro riguarda un aspetto specifico del lavoro: sanità, prima accoglienza, formazione, ecc. Secondo Silvio, questa missione può offrire molti spunti: «A parte le attività in sé, essa si può convertire in un fuoco eccezionale di animazione missionaria. Abbiamo previsto di andare d’estate con un gruppo di giovani. I classici campi di lavoro, per fare qualcosa. Si programma e si preparano incontri con i migranti, che sono anche loro giovani. Si respira veramente il lavoro e la spiritualità missionaria. È una missione di frontiera, in senso fisico e tematico. Ha un potenziale in altri ambiti che bisogna sfruttare, come quello del dialogo interreligioso e dei diritti umani. Ci sono agganci con il mondo esterno. Il potenziale di Oujda è che riporta la regione Europa all’essenza della spiritualità missionaria, e questa è un punto per ricominciare molte cose». Marco Bello Qui: padre Edwin a servizio nella fase di prima accoglienza di un gruppo di giovani migranti. * missione reu 20 aprile 2022 MC © AfMC Edwin Osaleh
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