Missioni Consolata - Marzo 2022

80 MC Il 14 dicembre 2019 ho emesso i voti perpetui, e il 21 sono diventato diacono. Ho iniziato l’animazione missionaria facendo il cappellano del gruppo ecumenico di lingua inglese di Torino, nella parrocchia San Giuseppe Cafasso. La domenica ci troviamo per due ore di celebrazione. Poi mi fermo ad ascoltare le persone. Appena ordinato diacono, pensavo che avrei passato una Pasqua 2020 bellissima in parrocchia a cantare l’Exultet, e invece ci siamo trovati chiusi in casa per il Covid. Ho fatto il mio servizio diaconale servendo i confratelli di Casa Madre, soprattutto quelli che erano positivi. Il 2020 mi ha insegnato una cosa: la pazienza. Con noi, con gli altri e con la situazione. Il Signore è in tutto questo. Ad esempio, avevo progettato di andare in Kenya ad agosto per l’ordinazione, ma non si poteva. Alla fine sono partito a dicembre 2020, per essere ordinato il 13 febbraio 2021». Quali sono, secondo te, le sfide missionarie dell'Italia? «Non vorrei chiamarla mancanza di fede, perché c’è ancora in giro chi crede. Però penso che la gente deve essere aiutata a credere di nuovo nel Signore, a ricordare bene le promesse battesimali che abbiamo fatto. Un’altra sfida è quella delle famiglie: c’è troppa tristezza in loro. E poi i giovani, che sono l’oggi della chiesa. Bisogna aiutarli a credere di nuovo, accompagnarli in cammini catecumenali, aiutarli a parlare. I giovani hanno molta difficoltà a esprimersi. Un missionariodella Consolata deve avere la pazienza di ascol - tare. Di prendersi del tempo an - che fuori programma. Qui la mis - sione non è come in Africa, dove costruiamo chiese, scuole... La missione è, piuttosto, presenza. Comunque ho cambiato idea sul - l’Italia: ora mi piace molto». Che lavoro fai oggi? «In questo momento il Centro di Animazionedi Torino, il Cam, è chiuso, in attesa di vedere realiz - zato il progetto di un Polo cultu - rale missionario. Il mio tempo oggi è occupato molto dalla cappellania del gruppo ecumenicodei nigeriani ospitato nella parrocchia San Giuseppe Cafasso dove colla - boro con don Angelo Zucchi per alcuni servizi pastorali. Sono anche collegato con l’uffi - cio migrantes della diocesi, e con il centro missionariodiocesano. Poi sto organizzandocon padre Gigi Anataloni un cammino di preparazionedei giovani della parrocchia Regina delle missioni per un’esperienzaestiva in Tan - zania, se va in porto». Qual'è la difficoltà pi˜ù grande che incontri? «La mia pazienza. A volte mi viene da dire: “John, devi essere più aperto”. Perché io non posso cambiare dieci persone, ma posso cambiareme stesso. Se voglio aiutare qualcuno, penso che devo iniziare da me e chie - dere al Signore di darmi forza. Piuttosto che dire che i problemi sono fuori, preferisco dire che devo lavorare su di me. Poi, gli italiani sono quelli che sono: non posso pretendere che siano come noi in Africa, dove cantiamo, balliamo, e ogni tanto è festa. L’inserimentonella cul - tura è importante. Non è possi - bile portare l’Africa qui, però qualche aspetto di me e della mia cultura sì». E la soddisfazione? «La domenica, quando arrivo a casa stanco dopo la giornata con la comunità ecumenica: quando sono stanco perché sono stato con la gente. Io penso che dobbiamo cam - biare le idee sulla missione: pas - sare dal “fare”, al “rimanere”». Racconti un episodio significativo della tu missione? «È molto recente, riferito al gruppo ecumenico: una signora di nome Merit: dopo tanti anni che fa parte della comunità ecu - menica, ha chiesto il battesimo per sé e per i figli. La comunità è stata seguita da sempre dai Missionari della Consolata. Questa donna, che dopo 22 anni sceglie il battesimo cattolico, è segno che hanno se - minato bene». Uno slogan? «#CAMminiamo#CAMbiamo. Perché se camminiamo insieme, possiamo cambiare tante cose, anche noi stessi». Luca Lorusso Parole di corsa © Af.MC / John Nkinga

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