79 marzo 2022 amico MC E poi? «Dopo una settimana, ricevo una busta con la rivista “The seed” e una lettera di padre Kizito che spiega chi sono i Missionari della Consolata. Io la leggo e la metto da parte. Dopo due settimane, arriva un’altra lettera. Dopo altre due settimane, un’altra lettera. Mi dico: “Ma cosa vuole da me? Ma basta!”. Allora rispondo, ma solo per buona educazione. Non ricordo più le cose che ho scritto, ma non erano parole dalle quali si potesse pensare che ero interessato a qualcosa. A novembre mi scrive di nuovo per invitarmi a una settimana di Come and see, “Vieni e vedi”, con altri ragazzi a Nairobi. Io non sono mai stato in città e mi viene un po’ di ansia, però vado. È una settimana meravigliosa. Siamo quasi 40 ragazzi. I missionari vengono a parlare con noi della loro esperienza. Torno a casa e non dico niente a nessuno, né agli zii, né alle suore. A gennaio trovo un lavoro come insegnante, nel frattempo il padre continua a scrivermi e io rispondo per buona educazione. A luglio mi scrive che viene a trovarmi a casa. A questo punto devo raccontare tutto agli zii. Però dico loro che è solo una prova. Anche alle suore dico la stessa cosa. Quando il padre viene a casa, scrive qualcosa e mi fa firmare. A fine luglio ricevo una lettera di ammissione al seminario, allora mi dico: “Ora vado a casa e dico che parto, ma che non è una decisione ferma: è una prova”. Dico così a mia zia, e lei mi risponde: “John, due settimane fa sono stata a un’ordinazione.Di - ventava prete un figlio di una donna come me. Non è che quella donna fosse speciale. An - che tu sei figlio di una donna come me, quindi tu vai, ti soste - niamo con la preghiera. E mettiti questa cosa in testa: che anche tu ce la puoi fare, perché anche tu sei un figlio di una donna come quella”. Alla fine entro in seminario nell’a - gosto 2010. A provare». A forza di provare Padre John non risparmia i dettagli. Il suo racconto degli anni di seminario è vivace e pieno di volti e aneddoti. Il filo conduttore è la frase «John, prova», che il giovane si ripete a ogni tornante del cammino. Entrato in semina - rio, fatica ad adattarsi ai suoi ritmi. In più c’è un formatore se - vero. Si dà sei mesi per vedere come va, poi altri quattro: «Poi torno a casa e mi dicono: “Ah, ce l’hai fatta”. Allora torno a provare: nell’anno 2011-2012 ho fatto il propedeuticoa Mathari, vicino a Nyeri. Nel periodo 2012-2014 ho fatto filosofia a Nairobi, però tutti gli anni mi ripetevo: “Mi dò an - cora un anno”». Arriva il noviziato a Sagana, nel 2014-2015: «Den - tro mi dicevo: “Ci provo”. Però, durante quell’anno, ho scoperto che non era più una prova. Erano cambiate le carte in tavola. Era diventato un discernimento.Ho fatto i primi voti nel 2015». «Io non avrei mai voluto venire in Italia. Primo, perché in seminario avevamo una cuoca che faceva una pasta terribile. E io pensavo: “Ma se andassi in Italia dove si mangia sempre pasta, cosa faccio?”. Secondo, perché avevamo un padre spirituale italiano che gridava sempre. In seguito, ho capito che gridava perché non sentiva, però a me sembrava che ci sgridasse. Allora mi ripetevo: “No, io in Italia mai!”. Quando al noviziato ci hanno detto di scrivere le nostre preferenze di continente dove studiare teologia, io ho scritto per prima l’America Latina, poi l’Africa e per ultima l’Europa. Durante la settimana di ritiro prima dei voti qualcuno ha messo in bacheca le destinazioni mandate dal padre generale. Quando l’abbiamo saputo, siamo corsi per vedere. Allora io cerco il mio nome in America latina e non lo trovo. Dico, “benissimo, sarò in Africa”. Non mi trovo. Poi vedo il mio nome a Bravetta, Roma. I miei compagni hanno riso tutti, ma io sono andato in crisi. Allora, finito il ritiro, chiamo la zia e le dico: “Guarda, è tutto finito! Mi hanno destinato in Italia. Meglio che esca e non prenda i voti”. E lei mi dice - quella donna è unica -: “Per prima cosa, tu andrai. E quando tornerai, ci troverai ancora qui con le nostre mucche che invecchiamo piantando e raccogliendo. Tu andrai e vedrai che la vita ti offrirà delle esperienze nuove. Seconda cosa: ricordi che sei un figlio di una donna come me? Quindi prendi coraggio, e poi sappi che E poi sei arrivato in Italia dove vai, troverai uomini come te che mangiano bevono e godono la vita. Vai, non avere paura”. Ho fatto i voti, mi sono preparato per l’Italia e sono arrivato a Bra - vetta a settembre 2015. Il mio “ci provo, ci provo”, l’ho un po’ preso come un progetto di vita. A volte, quando mi trovo in difficoltà, mi ripeto: “I will try”, ci provo, lasciami provare». E ora che fai? «Dopo tre anni a Bravetta per studiare all’Urbaniana, sono stato destinato a Torino, in Casa Ma - dre per l’animazionemissionaria. Io mi sono detto: “Boh, non so cos’è l’animazionemissionaria, però vediamo”. AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af.MC / John Nkinga
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=