marzo 2022 49 Myanmar, etnie e nazione MC manizzazione» dell’esercito e delle istituzioni pubbliche. Con essa cresce un forte senso di discriminazione ed esclusione che alimenta la ribellione nelle aree kachin. Nei primi anni dell’insurrezione, il Kio è in grado di controllare gran parte dello Stato Kachin. La situazione comincia a cambiare dopo il 1988 quando il «Consiglio statale per il ripristino della legge e dell’ordine» (Slorc) inizia a concludere accordi di cessate il fuoco con altri gruppi ribelli e, quindi, a concentrare le forze militari contro i ribelli kachin. La conseguenza è che, nel 1994 (Myitkyina, 24 febbraio), il Kio decide di stipulare un cessate il fuoco con la giunta, che gli consente un certo grado di controllo amministrativo nello Stato Kachin, sebbene tutte le terre e le risorse naturali rimangano sotto l’autorità del «Consiglio per la pace e lo sviluppo» (Spdc). Secondo Human rights watch, l’accordo di Myitkyina, però, non pone fine alle violazioni dei diritti umani da parte di nessuna delle due parti. Il Kia - secondo gruppo armato etnico non statale del Myanmar - continua a reclutare bambini-soldato, mentre l’esercito birmano continua a utilizzare il lavoro forzato e a confiscare terreni. Nel 1999 viene fondata l’Organizzazione nazionale kachin (Kno) con l’obiettivo di ripristinare un’autentica unione federale nel paese. Negli anni, il movimento nazionalista kachin è riuscito a creare una forte identità politica tra i diversi sottogruppi di Kachin che abitano la regione. Il Kio mantiene un’amministrazione civile che governa ancora una parte del territorio, operando come uno stato parallelo con propri dipartimenti di salute, istruzione, giustizia. Accordi fittizi e lotta per le risorse Tra il 2009 e il 2010, il governo centrale annuncia (mmpeacemonitor.org) che tutti i gruppi armati soggetti ad accordi di cessate il fuoco avrebbero dovuto trasformarsi in una forza di guardia di frontiera (Border guard forces, Bgf) sotto il controllo diretto dell’esercito birmano e rinunciando alla propria autonomia. I Kachin respingono la proposta, affermando che la propria milizia non si sarebbe trasformata in un Bgf senza una soluzione politica alle cause del conflitto etnico. Ogni accordo di cessate il fuoco tra il Kia e l’esercito birmano va comunque in frantumi il 9 giugno 2011, quando l’esercito birmano attaccò un posto strategico del Kia dando inizio a una grande offensiva militare nello stato dei Kachin. Nei mesi successivi, il Kio perde il controllo di una parte significativa di territorio che aveva precedentemente controllato e amministrato. La presenza di risorse naturali, in particolare di giada, ha complicato la situazione. Le lotte per mantenere il controllo delle ricchezze locali ha portato a continui combattimenti in alcune aree: i proventi delle miniere (insieme a quelli della droga) costituiscono un finanziamento a cui nessuno dei contendenti vuole rinunciare. Nel contempo, l’estrazione di risorse, la diffusa deforestazione e le dighe idroelettriche costruite nello stato dei Kachin hanno portato anche al degrado ambientale, alla distruzione dei terreni agricoli e all’ulteriore emarginazione della popolazione locale. Raffreddare il calderone etnico L’unica opportunità per risanare le sorti di un calderone etnico come il Myanmar sarebbe un vero dialogo tra le varie minoranze e l’élite dei Bamar. Di sicuro, le mosse della giunta militare al potere non sembrano presagire una simile svolta. A meno che gli alleati - con la superpotenza cinese e la piccola Cambogia, in primis - non convincano i militari di Naypyidaw. Federica Mirto Ha firmato questo dossier: FEDERICA MIRTO - È laureata in scienze politiche alla Sapienza di Roma. Ha dedicato la sua tesi magistrale (in lingua inglese) al Myanmar: «The ethnic minorities in the democratic processes: the case of Myanmar and Rohingya». Ha svolto vari periodi all’estero: studio presso l’Università di Nantes (Francia), volontariato presso il monastero tibetano Pema ts’al Sakya di Pokhara (Nepal), volontariato presso Oxfam di Manchester (Gran Bretagna), tirocinio a Bruxelles (Belgio), lavoro a Cork (Irlanda) e Edimburgo (Scozia), volontariato a Tijuana (Messico). Oltre che per MC, pubblica articoli e foto per alcune testate online. COPERTINE - Sono dedicate a due tra le tante milizie etniche del Myanmar. A pagina 35: un membro dell’esercito dei Karenni a Demoso, nello Stato Kayah, nell’ottobre 2021 (foto STR / AFP). / A pagina 50: parata dell’esercito dei Palaung a Tangyan, nello Stato Shan, lo scorso 12 gennaio 2022 (foto STR / AFP). / Il logo del dossier - tre dita alzate per Aung San Suu Kyi - è una foto di Sakchai Lalit / AP. FONTI E ARCHIVIO - Le principali fonti di questo dossier sono reperibili sul sito della rivista e nella versione sfogliabile. Sullo stesso sito si possono incontrare numerosi articoli e reportage sul Myanmar a firma Piergiorgio Pescali, Paolo Moiola e Claudia Caramanti. Da sinistra: papa Francesco e Aung San Suu Kyi nell’incontro del 28 novembre 2017 a Naypyidaw, capitale del Myanmar. | Una manifestazione di birmani per chiedere l’aiuto internazionale.
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