vati nelle auto bruciate. Tra le vittime ci sono anche due membri dello staff della Ong Save the children. Tre settimane dopo, il 10 gennaio, un tribunale di Naypyitaw (o Nay Pyi Taw) ha condannato Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) e dominatrice delle elezioni parlamentari del novembre 2020, ad altri quattro anni di prigione per possesso illegale e importazione di walkie talkies e per aver trasgredito alle norme anti Covid. Complessivamente, alla leader birmana sono imputati una dozzina di capi d’accusa. È opinione generale che le modalità dei processi contro di lei siano del tutto illegali, delle vere e proprie farse, come ha commentato Michelle Bachelet, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Proteste popolari e nuove tecnologie La spirale di violenza in cui si ritrova il paese asiatico non pare destinata a ridursi: il dissenso arriva dalle campagne, dai piccoli villaggi di montagna fino alle proteste in città. I gruppi armati etnici formano un fronte comune col resto dell’opposizione. La prima differenza sostanziale tra le rivolte attuali e quelle avvenute nel 1988 (terminate con la vittoria dei militari) è la tecnoUN ANNO DI GIUNTA MILITARE L’esercito e la resistenza delle etnie Dopo il golpe del primo febbraio 2021, il Myanmar è tornato al passato. Un generale è al potere, la leader Aung San Suu Kyi è agli arresti e i numerosi conflitti interni al paese sono di nuovo esplosi. In Myanmar, stragi, massacri e processi non si arrestano. Nel silenzio del mondo, la giunta militare al potere continua la repressione iniziata con il golpe del primo febbraio 2021. Ma la resistenza non si arrende, soprattutto quella delle milizie etniche, da sempre parte attiva contro i soprusi dei militari. L’esercito, comandato dal generale Min Aung Hlaing, non risparmia nessuno, spara ad altezza uomo durante le manifestazioni, uccide operatori sanitari e giovanissimi. Dal colpo di stato di un anno fa è in corso una repressione che include esecuzioni e torture, caratteristiche di un ritorno del vecchio regime. L’ultimo brutale episodio è avvenuto nello Stato Kayah, al confine con la Thailandia. Nella «strage di Natale» hanno perso la vita almeno trentacinque civili nel tentativo di fuggire dagli scontri in corso nel villaggio di Mo So tra i gruppi di resistenza armata e l’esercito birmano. I corpi sono stati ritrodi FEDERICA MIRTO ossier © Saw Wunna - Unsplash 36 marzo 2022
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