38 gennaio-febbraio 2022 A destra: la «ciambella» dell’economista inglese Kate Raworth che delimita lo spazio per l’umanità tenendo conto dei nove limiti della terra individuati dal Stoc kholm resilience centre (grafico italiano a cura del sito «duegradi.eu»). Sullo sfondo: una foresta «sfregiata». Già con la Laudato si’ del 2015, papa Francesco aveva messo l’ambiente in cima alle sue preoccupazioni. Un’enciclica questa che parla di «cambio di paradigma», ma anche di piccoli gesti quotidiani. L’argomento clima entra in campo al punto 23, con una frase breve ma potente: «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti». L’argomento torna spessissimo negli interventi papali, come nel messaggio per la giornata della Terra (23 aprile 2021): «Vorrei ripetere un detto antico, spagnolo: “Dio perdona sempre, noi uomini perdoniamo di tanto in tanto, la natura non perdona più”. E quando s’innesca questa distruzione della natura è molto difficile frenarla. Ma siamo ancora in tempo. E saremo più resilienti se lavoreremo insieme invece di farlo da soli». La collaborazione tra gli uomini è un elemento fondamentale. «Riconoscere che il mondo è interconnesso - ha detto Francesco nell’incontro “Fede e scienza verso Cop26” (4 ottobre 2021) - significa non solo comprendere le conseguenze dannose delle nostre azioni, ma anche individuare comportamenti e soluzioni che devono essere adottati con sguardo aperto all’interdipendenza e alla condivisione. Non si può agire da soli». Contro Francesco Un papa così impegnato nella difesa dell’ambiente dà molto fastidio al variegato fronte anti Francesco. Per limitarci agli avversari italiani, ricordiamo le reazioni al pur fragilissimo accordo di Glasgow apparse sul sito de La Nuova Bussola Quotidiana e su quelli dei vaticanisti Marco Tosatti e Aldo Maria Valli, tutti accomunati dalla lotta contro la presunta dittatura e contro l’ipotizzato «Nuovo ordine mondiale» paventato - su ogni media planetario disponibile - dal loro mentore, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Per tutti costoro l’emergenza climatica non è altro che un altro inganno messo in campo dall’élite globalista anticristiana. Pa.Mo. Un centinaio di paesi ha dichiarato che porrà fine alla deforestazione (che causa circa l’11% delle emissioni di CO2) entro il 2030. Tra questi anche il Brasile amazzonico di Jair Messias Bolsonaro, presidente negazionista e antiambientalista. Nel frattempo, due importanti istituti di ricerca brasiliani - uno pubblico (Inpe) e uno privato (Imazon) - hanno pubblicato dati autonomi, ma drammaticamente coincidenti: per esempio, secondo Imazon, da gennaio a ottobre 2021 la deforestazione dell’Amazzonia è stata di 9.742 km2, il 33 per cento in più rispetto all’anno precedente, il dato peggiore da dieci anni. Un altro gruppo di 105 paesi ha aderito al patto che taglia le emissioni di metano (CH4, gas serra potente anche se di vita breve) del 30% entro il 2030. Tuttavia, gli impegni sono volontari. Inoltre, non fanno parte dei firmatari i maggiori emettitori di questo gas: Russia, Cina e India. La questione più spinosa riguardava l’abbandono progressivo del carbone, il combustibile fossile più inquinante (30% più del petrolio, 70% più del gas, a parità di energia prodotta). E, a Glasgow, la sottoscrizione del patto sul clima (Glasgow climate pact) da parte dei 197 paesi è stata in forse proprio a causa del carbone, vista l’opposizione di Cina e India, di gran lunga i maggiori produttori e consumatori mondiali di questo combustibile. Il compromesso è stato raggiunto annacquando l’accordo finale attraverso la sostituzione del termine «phase out» (eliminazione graduale) con «phase down» (riduzione graduale, paragrafo 36). Infine, del tutto irrisolta è rimasta l’annosa questione della finanza climatica. La vecchia promessa di 100 miliardi di dollari all’anno (peraltro ampiamente insufficienti) ai paesi più poveri, non è mai stata rispettata (sono stati soltanto 80 nel 2019, secondo i dati Unep). L’impegno è stato rinnovato (paragrafo 46), ma vedremo se i ricchi apriranno effettivamente la borsa. Ancora peggio è andata la discussione su Loss and damage, cioè sugli aiuti economici ai paesi che, a causa dei cambiamenti climatici, hanno già subito perdite e danni. Il paragrafo 73 dell’accordo di Glasgow si limita a prevedere sul tema un dialogo tra le parti, ma nulla di concreto è stato stabilito. Questi sono gli aspetti relativi alla finanza che fa capo esclusivamente agli stati. Esiste poi la «finanziarizzazione del clima», ovvero il sistema costruito attorno al «carbon market», introdotto a partire dal 2005. Si tratta di un vero e proprio mercato sul quale si scambia la merce carbonio (CO2) sulla base del principio che il soggetto che inquina oltre i limiti fissati pagherà altri soggetti ssier Papa Francesco e l’emergenza ambientale «Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai» © Eveline DeBruin - Pixabay
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