Missioni Consolata - Dicembre 2021
A MC 13 dicembre 2021 MC P arlando di Unione europea, le agevolazioni della Politica agricola comune (Pac), con 386 miliardi di euro in 7 anni (33% del budget dell’Unione europea), sono destinate per l’80% al 20% delle imprese agricole europee più importanti. Eurostat indica che nel 2015 sui 22,3 milioni di mi- cro imprese dell’economia europea (settore finan- ziario escluso) il 92,7% erano imprese con meno di 10 addetti, rappresentando quasi il 30% dei posti lavoro dell’Unione. E ricevevano pochissime age- volazioni. Lo stesso capita con i progetti di aiuto ai paesi po- veri. La stragrande maggioranza dei cosiddetti do- natori istituzionali (ad esempio l’Unione europea, l’Agenzia italiana per l’aiuto allo sviluppo...) ha creato delle procedure talmente complicate che i destinatari «piccoli» non riescono ad adeguarsi. Sono quindi i grandi a vincere le commesse e a fare le realizzazioni come intermediari, a carpire gran parte della torta. Molti affermano che, per esempio, nelle colture or- ticole ci sono troppi intermediari fra il coltivatore e il cliente. E si inizia a parlare di «distanza zero», si- tuazione nella quale il produttore vende diretta- mente al consumatore. Anche nei progetti di sviluppo bisognerebbe tor- nare alla distanza zero, o quasi, in modo che l’in- termediazione fra il donatore e il beneficiario fi- nale sia meno ingombrante possibile. Bisogne- rebbe poi favorire i progetti eseguiti attraverso strutture locali no profit presenti nella zona d’a- zione, le quali possono tessere dei legami duraturi nel tempo con i beneficiari finali. C on la cooperazione stiamo veramente aiu- tando i poveri? Attualmente no. La maggior parte dei donatori ha intriso il proprio ap- proccio di una burocrazia tale che lo scavatore di pozzi del villaggio non ha nessuna possibilità di ottenere la commessa per fare un pozzo nel suo villaggio, cosa che permetterebbe di dare lavoro e arricchire un pochino la comunità. Si parla di trasparenza perché sono state introdotte gare di appalto anche per i piccoli contratti, come se gli appalti potessero evitare le «indelicatezze». Non le evitano per niente. Queste pesanti proce- dure proteggono dei tecnocrati incompetenti che sanno accumulare giustificativi, ma non sapreb- bero controllare se il pozzo è a modo, se una salda- tura è ben fatta o se la manutenzione della tecno- logia introdotta può essere fatta localmente. Que- sto «protegge» anche molti cooperanti, che non vogliono più lavorare sul terreno con delle esecu- zioni in regia (tramite coordinamenti dei diversi attori, ndr ) dove bisogna sudare sotto il sole per se- guire il lavoro quotidianamente. Questi stessi coo- peranti si adattano troppo facilmente alle regole burocratiche che permettono loro di restare confi- nati in uffici climatizzati. Il Niger ha bisogno di una riforma agraria e non di parole e di carte. Il paese ha bisogno di orticoltura e di trasformazione / valorizzazione della produ- zione e non di burocrazia, procedure e quadri di concertazione. L’Ufficio internazionale del lavoro (Ilo) indica che più del 90% dell’economia africana è informale. L’Istituto nazionale della statistica del Niger (Ins), valutava nel 2018 il Pil del Niger in 3.628 miliardi di franchi cfa (circa 5,5 miliardi di euro) di cui 3.429 miliardi (circa 5,2 miliardi di euro) prodotti dal set- tore informale, cioè il 94,5%. Non dico certo che l’economia debba restare infor- male. Ma per spingere le micro imprese a formaliz- zarsi bisognerebbe incoraggiarle e non reprimerle. Escluderle non significa spingerle a mettersi in re- gola, è proprio il contrario. Soltanto affidando delle commesse al fabbricante di pozzi del villaggio gli si può chiedere in cambio di mettersi in regola. Non includere l’economia informale nei progetti di svi- luppo significa anche partecipare alla distruzione degli equilibri sociali del villaggio, cioè di coloro che si vorrebbero aiutare. I nfine gli uffici che operano i controlli dei fondi stanziati fanno il loro lavoro con i paraocchi senza commuoversi minimamente se gli ultimi non sono stati presi in conto. Se così non fosse ag- giungerebbero ai loro rapporti di analisi almeno delle critiche costruttive. Questi controllori esi- gono, nel rispetto delle procedure imposte, un nu- mero di documenti cartacei talmente importante che i progetti di sviluppo ormai devono assumere più amministratori che tecnici. Il risultato finale è quello di avere molta documentazione in regola, ma meno pozzi e meno fondi per i beneficiari, mentre negli obiettivi del progetto di sviluppo c’era scritto «dare lavoro alle classi disagiate», «aiutare gli ultimi», «diminuire l’emigrazione». Il sistema dunque è ingannatore e sembra instau- rato per aiutare i ricchi. Non stupitevi perciò quando gli abitanti dei vil- laggi, gli ultimi, quelli che non ce la fanno più, scappano verso l’Europa o sostengono silenziosa- mente dei movimenti estremisti. Paolo Giglio Come burocrazia e procedure uccidono l’aiuto allo sviluppo La cooperazione che inganna Dove vanno gli aiuti allo sviluppo stanziati dai paesi ricchi? Raggiungono la popolazione più povera per migliorare il suo livello di vita? L’autore ha una sua idea, ben suffragata da dati ed esperienza sul campo.
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