Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2021

73 agosto-settembre 2021 MC R MC sonale in America Latina, mi sono resa subito disponibile, incorag- giata anche dal fatto che due dei miei fratelli erano diventati mis- sionari. È stato con immensa gioia che nel 1966 ho ricevuto la notizia di essere parte del se- condo gruppo di suore di Namur destinate al Brasile. Sei finita di nuovo nella scuola? Sembrava la cosa più naturale vi- sto il tipo di attività che la nostra congregazione faceva, ma le cose sono andate diversamente. Appena arrivate in Brasile, nell’a- gosto del 1966, siamo andate a Rio de Janeiro, nel Centro di for- mazione interculturale, per impa- rare la lingua e per l’inserimento nel paese. Là, tra le nostre guide, c’erano Gustavo Gutierrez e Jon Sobrino. Già da subito, l’impatto con la gente delle favelas di Rio ci ha messo in discussione, a co- minciare dal nostro modo di ve- stire, per cui abbiamo lasciato l’a- bito «da suore» e abbiamo comin- ciato a vestirci con abiti semplici. Dopo il corso di inserimento dove siete andate? Appena prima di Natale siamo partite per la nostra prima desti- nazione, Coroatá, nel Maranh ā o, accolte con calore da due missio- nari italiani e sistemate in una casa crollata a metà, quindi tutta da sistemare. Pensavamo di inse- gnare nella scuola, invece ci hanno mandato subito a visitare la gente del posto e ad animare le nascenti comunità ecclesiali di base. Era una pastorale nuova, attenta ai poveri e quindi, quasi da subito, ci siamo trovate in con- trasto con i fazendeiros , che erano abituati a dominare tutta la vita dei loro contadini, anche quella religiosa (con messe cele- brate solo nelle loro fazendas e feste patronali organizzate in tutto e per tutto da loro). Un contesto carico di pro- blemi e di tensioni sociali. Indubbiamente. I latifondisti trat- tavano i contadini come gli schiavi di un tempo e impedivano qualsiasi azione di riscatto so- ciale. Anche costruire una scuola era visto male perché avrebbe reso i poveri più coscienti della loro situazione. Inoltre, c’era un meccanismo di sfruttamento ben oleato. Il governo prometteva lotti di terra a chiunque era di- sposto a entrare nella foresta e disboscare. Così molti poveri contadini senza terra si butta- vano all’avventura. Disbosca- vano, preparavano la terra, la rendevano pronta per la coltiva- zione. Passati cinque anni, arriva- vano i fazendeiros o le grandi multinazionali, che intanto si erano assicurati i titoli di pro- prietà di quelle terre, e, forti dei loro «diritti», cacciavano via tutti per impiantare le loro grandi fa- zendas . Nessun compenso era pagato ai contadini, anzi veniva usata la forza della polizia o di sgherri privati per costringere la gente ad andarsene, il tutto ac- compagnato da case bruciate, pestaggi, imprigionamenti di chi resisteva e anche uccisioni. E voi closa facevate per aiutare la gente? La priorità era il sostegno alle co- munità di base, poi abbiamo co- minciato a celebrare le messe, gli incontri e le feste nei villaggi dei contadini invece che nelle case dei possidenti. Questo è stato vero a Coroatá, la prima missione. Ma lo stesso ab- biamo fatto quando ci siamo spinte ancor più nell’interno, dal Maranh ā o al Pará, e ci siamo sta- bilite prima ad Abel Figueredo (nel 1974) e poi ad Anapu (nell’82), una zona ancora più «calda» nella diocesi di Altamira. Con una certa audacia fondaste anche il sindacato locale dei contadini. È stata una scelta ovvia quella di aiutarli a organizzarsi. Era impor- tante che diventassero loro sog- getti del loro riscatto. E poi c’era l’istruzione. Immagina che con loro abbiamo costruito (e rico- struito, perché spesso ci veni- vano bruciate) ben ventitré scuole primarie in un’area dove l’istruzione di base era completa- mente assente. Insegnaste anche le tecniche di agricoltura sostenibile. Certamente. Abbiamo cercato inoltre anche l’incontro e la colla- borazione con i popoli indigeni, per renderli coscienti della situa- zione e far loro comprendere l’importanza di battersi per i loro diritti. Dimostrando a tutti che cosa può fare chi ha fede, corag- gio e determinazione per cam- biare una parte del mondo dispe- ratamente bisognosa di giustizia. Ma allora eravate più attivi- ste sociali che missionarie. No, proprio perché facevamo ogni giorno una scelta di vita e impegno secondo il Vangelo, avevamo la forza e la lucidità per affrontare quelle situazioni. Era il confronto giornaliero con la Pa- rola di Dio che ispirava non solo me, ma i preti con cui lavoravamo e i leader delle comunità di base. Inutile dire che la vostra azione sociale e pastorale non era ben vista dai potenti della zona. Fin dal mio arrivo in Brasile sono stati diversi gli avvertimenti che questi individui ci facevano giun- © adattato da Google Earth

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