Missioni Consolata - Luglio 2021

ossier 42 luglio 2021 Storie di donne e famiglie «Ranchitos» C apita spesso che famiglie di migranti vene- zuelani, trovandosi nell’impossibilità di pa- gare un alloggio nelle località colombiane nelle quali giungono, decidano di occupare un pezzo di terra in periferia e costruire un « ranchito » (baracca). Si tratta di costruzioni fatte di cartoni, la- miere, teloni e coperte. Luoghi senza acqua ed elettricità, insalubri, spesso in zone rischiose (come il costato di una montagna), ma che per i migranti sono ciò che di più può somigliare alla parola casa. Dopo l’arrivo di una o due famiglie si sparge la voce ed è così che altre decine di persone giun- gono per occupare il loro pezzetto di terra e potersi mettere un tetto sopra la testa. Di solito, gli abitanti delle città dove avvengono le invasioni non vedono di buon occhio questa pratica e le amministrazioni locali provano, spesso con la forza, a sfrattare gli occupanti non fornendo loro però nessuna solu- zione alternativa. Questo è quello che sta succe- dendo nel quartiere San Matteo, periferia di Cúcuta, dove è sorto da due anni un insediamento di migranti venezuelani ribattezzato «Nuova Spe- ranza». Si tratta di una ventina di baracche co- struite su di un suolo argilloso e sull’orlo di un crepaccio: un accampamento dove vivono circa 70 persone (18 famiglie), metà delle quali minori d’età. Gli «invasori» hanno trovato il modo di collegarsi alla rete elettrica cittadina e anche per l’acqua hanno trovato il modo di diventare autosufficienti con un sistema (precario) di tubature. Non sono ben accetti dai vicini del quartiere San Matteo, spe- cialmente dal centro di addestramento della polizia che si trova giusto sopra di loro, in cima alla collina. Ad oggi l’amministrazione della città di Cúcuta ha intimato lo sgombero della zona per motivi legati alla sicurezza e alla salute degli stessi migranti (so- prattutto dei minori) ma senza offrire alternative, nessuno lascerà «Nuova Speranza». Di.Ba. Torturatori A Bogotà esiste un quartiere dove ad ogni ora del giorno è possibile «comprare» un corpo di una donna venezuelana migrante. Si tratta di Santa Fe, zona di tolleranza della capitale colom- biana, fiera della spoliazione dei diritti, luogo nel quale si commercia approfittando della miseria al- trui. Donne e ragazzine (molte sono minorenni), praticamente nude, aspettano sui marciapiedi delle strade dalle 15 alla 22, il torturatore di turno. Sì per- ché, come ricordano María Galindo e Sonia Sán- chez nel libro Ninguna mujer nace puta , una donna in situazione di prostituzione si incontra con prosti- tuenti, stupratori e torturatori, non con clienti. Cam- minando per quelle strade, ciò che si vede è la nudità dei loro corpi, ma quello che molti non ve- dono (non vogliono vedere) è la nudità di diritti. Donne e bambine vestite solo di forza di spirito e dignità, tenute spesso in piedi dalla droga (che aiuta anche a non sentire la fame), mentre deambu- lano in una strada che oramai è tutto il loro mondo, tutto il loro inferno. Vivono negli hotel della zona (spesso con i loro figli), pagando una quota giorna- liera. Inviano settimanalmente soldi ai parenti rima- sti in Venezuela, che quasi mai sono al corrente della non vita che fanno queste donne nel quartiere di Santa Fe. Ombre, fantasmi di ciò che erano un tempo: in Venezuela molte di loro prima del col- lasso del paese, avevano davanti una promettente carriera professionale oppure stavano frequen- tando l’università. Di.Ba La nudità dei corpi è nudità di diritti. “ © Diego Battistessa © Diego Battistessa

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