Missioni Consolata - Luglio 2021

lenze, di sopraffazioni, di morti innocenti e di ingiustizie non sa- nate. Ma parole come la dichiara- zione dei diritti dell’uomo, che non accetta distinzioni per ra- gioni di sesso, di etnia, di età, di formazione, di convinzioni, sono parole che non erano state mai scritte fino a pochi decenni fa. Un tribunale internazionale che pro- cessi crimini contro l’umanità (an- che nel rispetto delle leggi del proprio stato) è esperienza stori- camente recente. Nel Vicino Oriente antico, chi veniva scon- fitto sapeva di non avere nes- suna legge internazionale a cui appellarsi, neanche solo a livello teorico. A livello aneddotico, una lingua povera di termini come l’e- braico biblico (circa 6.000 voca- boli) ha una ventina di sinonimi che indicano l’«avere paura». La presenza della morte era incom- bente sempre, ed era anche più facile da accettare nei confronti dei «nemici». Anche il percorso dei credenti ha faticato e ha avuto bisogno di tempo per co- gliere che Dio non poteva amare solo una parte di umanità. Il confronto tra Mosè e il faraone (ma sarebbe meglio dire tra il Dio d’Israele e il presunto dio in terra degli egizi) si presenta an- che come uno scontro militare, e già all’inizio Dio aveva promesso agli ebrei che ne avrebbero ri- portato un bottino (Es 3,21-22), e così sarà (11,1-3). Ma c’è una ragione in più che giustifica la morte dei primoge- niti d’Egitto, agli occhi antichi. UN MONDO CULTURALE DIVERSO Mentre leggiamo questi testi an- tichi, che pretendono di avere valore ancora per noi oggi, non dobbiamo mai dimenticarci che siamo costretti a fare ricorso a delle traduzioni. Non solo nel senso che quei testi sono scritti in una lingua che la maggior parte di noi non riesce a leggere, ma anche nel senso che ven- gono da un mondo culturale che non è il nostro. Pensiamoci: noi italiani siamo in grado di leggere la Divina Commedia senza tradu- zioni. Ma per lo più non la ca- piamo. Comprendiamo le parole, intendiamo le frasi, ma per pene- trarne il senso abbiamo bisogno di note che ci spieghino quale modello teologico avesse pre- sente Dante, a quali riferimenti letterari e simbolici si rifacesse, a quali sottintesi politici e contem- poranei alludesse, solo allora possiamo cogliere meglio che cosa dica. Anche se parliamo la stessa lingua, non condividiamo più la stessa cultura, e questo rende la comprensione faticosa. Il nostro approccio culturale, an- che quando parliamo di spirito e di anima, è tendenzialmente ra- zionale. Abbiamo bisogno di ra- gioni, di argomenti, magari an- che di prove. Intuiamo che non tutto si esaurisce nella raziona- lità (abbiamo passioni, timori, speranze, e sappiamo che muo- vono gran parte di noi), ma il no- stro approccio di fondo resta ra- zionale. I più profondi tra noi rie- scono a mantenere, dentro a un’impostazione razionale e lo- gica, lo sguardo di chi mira in alto, e ci affascinano; altri, che perdono il contatto con la con- cretezza, li pensiamo sognatori... o anche un po’ pazzi. Il mondo del Vicino Oriente an- tico ragiona invece per simboli, per quadri ideali, per grandi si- stemi. Le spiegazioni razionali lo lasciano freddo, se non si inseri- scono in un contesto simbolico coerente. Non siamo sbagliati noi o loro. Siamo diversi. E, per poterci ca- pire, dobbiamo renderci conto che parliamo lingue culturali di- verse. Il vero errore sarebbe pensare che quegli autori antichi scrivano come scriveremmo noi. Ebbene, in quel contesto simbo- lico, la questione dei primogeniti assume un valore diverso. DIO LIBERA TUTTI? Uno dei principi che attraversa il Primo Testamento è la consape- volezza che la vita è dono di Dio. L’uomo non ne ha il dominio. Ecco perché, quando all’umanità venne concesso di uccidere per nutrirsi (a partire da Gen 9), Dio stabilì che, simbolicamente, ci si Un cammino di libertà 34 luglio 2021 MC dovesse astenere dal cibarsi di sangue, ritenuto la sede della vita (cfr. Lv 17,10-14; Dt 12,15-16). Un altro elemento simbolico che ricordava che Dio era il Signore della vita era il richiamo che ogni primizia, delle piante o degli ani- mali, apparteneva a Dio. Per que- sto i primi frutti dell’anno erano dati in offerta a Dio (ad es. Nm 15,20-21; Dt 26,2) e anche i pri- mogeniti degli animali, i quali po- tevano essere offerti in sacrificio o, a seconda della specie, essere riscattati con altri doni (ad es. Es 13,12-13). Solo l’uomo doveva ob- bligatoriamente essere riscattato, perché la sua vita è sacra. Il riscatto comportava l’idea di entrare in una sorta di scambio di favori. Il primogenito avrebbe dovuto essere di Dio, che però lo lasciava vivere in cambio di un’offerta più piccola che in qualche modo manteneva il be- neficiato in una condizione di pri- vilegio. È il segreto dello scam- bio commerciale vicinorientale, nel quale la compravendita è soltanto una parte della rela- zione personale che si viene a creare. Pagare completamente un commerciante significhe- rebbe concludere lo scambio, decidere di chiudere la relazione e di non avere più nulla a che fare con lui. È questo il modo con cui un let- tore vicinorientale antico avrebbe colto la morte dei pri- mogeniti d’Egitto: certo, è un atto di guerra, crudele come in tutte le guerre. Ma è anche l’atto con cui Dio riconosce all’Egitto la sua libertà di regolamentarsi senza Dio. Il Dio d’Israele se ne va dall’Egitto senza lasciare de- biti né crediti, prendendosi sem- plicemente il suo. E il suo è rap- presentato dai primogeniti. Con la loro morte, Dio riconosce di non avere più conti aperti, l’E- gitto è libero di fare la sua vita senza di lui. A noi suona una crudeltà inutile, alle menti antiche risuonava come una forma, magari cruda, con cui Dio riconosceva la libertà degli altri, e non imponeva loro la sua presenza. Persino ai nemici. Angelo Fracchia (Esodo 06 - continua)

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