Missioni Consolata - Luglio 2021
" La tortura non è una questione di mele marce, agisce là dove trova terreno fertile. È possibile se non trova resistenze isti- tuzionali, contrasto, giudizio pubblico. modo, si tortura non solo in cen- tri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentra- mento, ma anche in carceri, isti- tuti per minori, ospedali psichia- trici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena», così papa Francesco, in un di- scorso del 2014 all’Associazione internazionale dei penalisti. Il papa, con poche parole intrise di forza argomentativa e chia- rezza, rimuove la tortura dai libri della storia delle pratiche plausi- bili della giustizia, e la colloca dentro un presente tragico. Di- stingue tra la tortura giudiziaria, praticata per estorcere confes- sioni o indurre alla delazione, e la tortura quale esercizio ordina- rio del potere di punire. La tortura su cui maggiormente si sofferma il papa non è quella che ha un fine investigativo, ma la tortura di tutti i giorni, quella che non fa notizia, invisibile, quella data per scontata, accet- tata come se fosse normale con- dimento della sanzione legale. Quella che i migranti respinti dalle nostre coste potrebbero raccontare facendo impallidire il mondo dei benpensanti. La contemporaneità restituisce una casistica dolorosa delle tor- ture possibili. Papa Francesco, con il motu proprio dell’11 luglio del 2013, introdusse il delitto di tortura nell’ordinamento giuri- dico interno allo stato del Vati- cano, fino ad allora quasi del tutto sovrapposto a quello ita- liano. Fu utilizzata la definizione presente all’articolo 1 della Con- venzione Onu contro la tortura. La tortura è, dunque, quel plus di avere reagito. Se ha parlato, si vergogna per avere ceduto alle pressioni e avere confessato, il vero o il falso che sia. Non avrà più il coraggio di guardare in fac- cia i propri amici. Proverà vergo- gna di se stesso. Vergogna e senso di colpa per- mangono anche durante il pro- cesso che dovrebbe restituire giustizia. Sono sentimenti cono- sciuti anche dai familiari delle vit- time torturate e uccise. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha raccontato di come, nel pro- cesso, lei da vittima è stata ri- dotta a imputata. Si parla, in quei processi, dello stile di vita dei loro congiunti, si indaga sulla famiglia, si cerca di infangare l’immagine del tortu- rato, così da fare provare vergo- gna e colpa ai familiari, forse per farli desistere dall’andare avanti. PAPA FRANCESCO E LA TORTURA DI TUTTI I GIORNI La tortura è un reato che si con- suma lentamente. Durante la tor- tura la persona prova paura, ter- rore. E terrore è quello che i mi- granti vivono nelle prigioni libi- che, nelle quali gli organismi in- ternazionali hanno provato es- servi tortura sistematica, insieme a stupri e omicidi. «Le torture ormai non sono som- ministrate solamente come mezzo per ottenere un determi- nato fine, come la confessione o la delazione - pratiche caratteri- stiche della dottrina della sicu- rezza nazionale - ma costitui- scono un autentico plus di do- lore che si aggiunge ai mali pro- pri della detenzione. In questo dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. La de- tenzione produce sofferenza. È di per sé un male. La tortura è un’ulteriore inflizione di dolore, oltre a quello oggettivamente prodotto dalla perdita o dalla li- mitazione della libertà. Nelle guerre, nelle deportazioni, nelle follie di regime, nei campi profughi, nei luoghi di confine, nelle carceri legali e illegali, viene azzerata la dignità umana e la persona viene degradata a cosa. LA TORTURA ORDINARIA Papa Francesco non si scaglia solo contro la tortura «eccezio- nale», quella scenica, quella usata come strumento di repres- sione dalle dittature spietate o dai regimi militari o teocratici. Papa Francesco si preoccupa della tortura «ordinaria», quella delle democrazie contempora- nee, degli stati liberali. Si preoc- cupa della tortura di tutti i giorni. La tortura è una delle forme di management della sovranità. La sovranità è il nemico da sconfig- gere. Fino a quando la sovranità sarà eretta a baluardo etico, filo- sofico e giuridico dello stato mo- derno, ci saranno sempre guerre. E ci sarà sempre la tor- tura. Perché la tortura si nutre dello stesso concime della guerra. Si nutre di sovranità. La sovranità è belligena, nonché in- trinsecamente violenta. Attraverso, dunque, la lente della tortura (e la lotta per la sua proi- bizione) è possibile compren- dere il rilievo del processo di de- sovranizzazione dello stato quale antidoto alla violenza. Va rotto il circolo vizioso della vio- lenza. Più nonviolenza uguale più dignità umana. Più dignità umana uguale meno sovranità. Meno sovranità uguale meno tortura. Patrizio Gonnella* *Patrizio Gonnella è presidente dell’Associa- zione Antigone. Insegna sociologia e filoso- fia del diritto all’Università Roma Tre. Ha scritto numerosi saggi e articoli sui temi della pena e dei diritti umani. È editorialista del quotidiano «il Manifesto» e cura una trasmissione radiofonica su Radio Popolare. A MC 31 luglio 2021 MC
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