Missioni Consolata - Giugno 2021
E la chiamano economia 66 giugno 2021 MC sunto con la massima: quanto più guadagni, tanto più devi es- sere disponibile a pagare ali- quote più alte. Nel secondo dopoguerra, quando la scena era dominata da un forte movimento operaio, in tutta Europa venne raggiunto un alto livello di welfare finan- ziato da un sistema fiscale che colpiva in maniera particolare le classi ricche. Perfino negli Stati Uniti nel 1963 l’aliquota oltre i due milioni di dollari (rivalutati ad oggi) era al 91%. In Italia la riforma fiscale del 1974 orga- nizzò l’imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) su 32 sca- glioni con l’ultima aliquota al 72% oltre i 258mila euro. Ma non passò molto tempo che già si cominciò ad attenuare la pro- gressività riducendo gli sca- glioni e modificando le ali- quote fiscali con innalzamento di quelle sui redditi medio bassi e riduzione su quelli alti. PATRIMONIALE? «SÌ, GRAZIE» Ormai stava soffiando un nuovo vento, il vento neoliberista, rias- sumibile in tre parole chiave: più mercato, più profitti, meno stato. E se nel 1983 gli scaglioni erano già diventati nove, con l’aliquota più bassa al 18% e quella più alta al 65%, nel 2007 gli sca- glioni li troviamo a cinque con l’aliquota più bassa al 23% fino a 15mila euro e la più alta al 43% oltre 75mila euro. La conclusione è che su un red- dito di 3 milioni di euro (se- condo il valore di oggi) nel 1974 lo stato si sarebbe preso 1 mi- lione e 713mila euro (57,1%), oggi se ne prende solo 1 milione e 283mila (42,7%). Da una ri- cerca condotta da Cadtm ( Comi- tato per l’abolizione dei debiti il- legittimi ), si apprende che fra il 1983 e il 2017 i favori accordati alle classi ricche hanno procu- rato allo stato un mancato in- casso stimabile in 146 miliardi. Ammanco che ha prodotto due risultati: aumento del debito pubblico e meno diritti . Ad esempio, nel suo rapporto Bes ( Benessere equo e sosteni- bile ) del 2021, l’Istat certifica che «tra il 2010 e il 2018, l’offerta e inviolabile che deve essere garantita ad ogni essere umano per il fatto stesso di esistere. Un principio che, essendo stato co- niato dalla classe borghese, ini- zialmente era limitato ad alcuni diritti civili: libertà di pensiero, proprietà privata, tutela giuri- dica. Più tardi, però, i movimenti socialisti riuscirono ad esten- dere il concetto di diritto anche ad aspetti sociali. E la comple- tezza si raggiunse nel 1948 con la Dichiarazione dei diritti del- l’uomo da parte dell’Onu che all’art. 25 recita: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare ri- guardo all’alimentazione, al ve- stiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali ne- cessari; ed ha diritto alla sicu- rezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di per- dita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà». Affermati i diritti, la domanda che dobbiamo porci è chi deve garantirli. Di sicuro, non la soli- darietà individuale per sua na- tura incerta e precaria. I diritti si pretendono dalla comunità, la quale deve farsene carico attra- verso un patto di solidarietà collettiva . Esattamente come prevede la nostra Costituzione, che nello stesso articolo, il nu- mero 2, richiama i diritti e istitui- sce il dovere di solidarietà: «La Repubblica riconosce e garanti- sce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle for- mazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’a- dempimento dei doveri indero- gabili di solidarietà politica, eco- nomica e sociale». E poiché vi- viamo in un sistema basato sul denaro, uno degli strumenti car- dine della solidarietà è quello fi- scale a cui «tutti devono concor- rere in ragione della propria ca- pacità contributiva». Così afferma l’articolo 53 della Costituzione, che aggiunge: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività ». Un cri- terio che potrebbe essere rias- giustificazione escatologica se concepiamo la miseria, e più in generale la sofferenza, come un’opportunità di prova al servi- zio di un tribunale celeste la cui funzione principale è quella di giudicare l’umanità. Ognuno se- condo la propria posizione: i mi- seri messi alla prova rispetto alla capacità di accettare la sof- ferenza, i benestanti messi alla prova rispetto alla capacità di attivare sentimenti di pietà. Da cui l’imperativo ai miseri di ac- cettare la propria condizione di sofferenti e ai benestanti di de- stinare parte delle proprie for- tune in beneficienza per solle- vare le sorti dei miseri. Imposta- zione che, nel Medioevo, per- mise la crescita di ospedali, mense, ricoveri, gestiti dalla Chiesa con i soldi messi a di- sposizione dalla nascente classe mercantile che aveva in- cluso la beneficienza nei propri bilanci economici sotto la voce «conto di messer Domeneddio». Primordi di quel capitalismo compassionevole che la tradi- zione protestante rafforzerà ul- teriormente. L’AFFERMAZIONE DEI DIRITTI L’idea di liberazione totale dalla miseria, e più in generale dalla sofferenza, inizia a farsi strada a fine Settecento quando l’illumi- nismo introduce il concetto di diritto. Una condizione positiva © Pixabay
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