Missioni Consolata - Maggio 2021
ossier 46 maggio 2021 fusione, non danno certezze a noi fedeli. E la Chiesa dev’essere di tutti, la sua figura ha diviso più che unire. In Argentina lo accusano di essere peronista, a me non interessa la politica, mi chiedo però perché stia cambiando le nostre tra- dizioni liturgiche», si anima Eduardo e aggiunge: «La Chiesa è di tutti. Io vengo dalla tradizionale spiritualista, ma ho fatto molte azioni per i più deboli. Non voglio vivere in una Chiesa di soli se- guaci della teologia della liberazione. Per me la fede è azione e preghiera insieme». A Murias piacerebbe una Chiesa meno legata al prete e con più attivismo dei fedeli, «come dice Francesco», afferma, dopo aver chiarito le sue critiche al papa. «Durante la pandemia, ho fatto molto volontariato e la gente l’ha apprezzato, adesso alcuni vengono in chiesa con me. Per su- perare la diffidenza verso il cattolicesimo, biso- gnerà sviluppare di più l’impegno dei fedeli e non aspettare le iniziative del prete. Ci sono pochi movimenti di base, bisognerebbe raffor- zarli». E bisognerebbe «sanzionare con forza i preti che commettono violenze sessuali, non solo cambiarli di parrocchia», continua Eduardo, riferendosi ai recenti scandali che hanno riguar- dato abusi sui minori nella chiesa di Minas. «Siamo una iglesia chica e molte cose si sanno prima che scoppino gli scandali, la vox populi corre più della giustizia ordinaria. La nostra è una Chiesa apatica che non ha preso le dovute mi- sure in tempo», critica Eduardo. Bisognerebbe «dare ai preti la formazione adatta sul voto del celibato. Ricordo che quando ero in seminario, un prete spagnolo ci disse che quando incrocia- vamo una bella ragazza per strada, dovevamo cambiare marciapiede. Ma non si può scappare tutta la vita», conclude Eduardo. Federico Nastasi La comunità armena Uruguay, un paese accogliente «S ono armena», mi dice con il suo spa- gnolo rioplatense Silvana, una libraia della Ciudad Vieja di Montevideo. Sil- vana, benché sia nata in Uruguay, non parli ar- meno e non abbia mai messo piede in Armenia, ci tiene alla sua identità. E come lei ci sono circa quindicimila armeni nel paesito , grati all’Uruguay per essere stato il primo paese al mondo ad avere riconosciuto il «Medz Yeghern», il genoci- dio armeno, con una legge nel 1965. Tra il 1915 e il 1916, l’Impero ottomano, guidato dal governo dei «Giovani Turchi», pianificò e realizzò la deportazione della popolazione armena dal pro- prio territorio, autorizzata con la legge Tehcir del 29 maggio 1915, provocando la morte di un mi- lione e mezzo di armeni. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 a Costantinopoli, con un’operazione che decapitò l’intellighenzia armena, più di mille tra giornalisti, scrittori, poeti, delegati al parla- mento, furono deportati verso l’interno dell'Anato- lia e massacrati lungo la strada. Nelle marce della morte, che coinvolsero 1,2 milioni di persone, cen- tinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfi- nimento. I maschi delle famiglie, adulti e bambini, vennero trucidati, e le donne trascinate attraverso atroci marce forzate e campi di prigionia. Malgrado l’esodo e le prove fotografiche che te- stimoniano l’accaduto, la Turchia non riconosce quello che molti storici definiscono il primo geno- cidio moderno, basato sulla programmazione «scientifica» dello sterminio. Nel 2016, in occasione del centenario del genoci- dio, papa Francesco ha visitato l’Armenia, con- dannando il genocidio e ha pregato per evitare che questa tragedia possa ripetersi. Durante la vi- sita a Erevan, ha sottolineato come la memoria possa essere «fonte di pace» per portare i due paesi sulla strada della riconciliazione. Il paese che chiedeva migranti «Negli anni ‘20 e ‘30, l’Uruguay faceva propa- ganda pro immigrazione: arrivarono italiani, spa- gnoli, e anche sette-ottomila armeni. Partivano dal Libano, dalla Francia o dalla Siria. Erano cre- sciuti negli orfanotrofi, poiché il genocidio si era già perpetrato. «Erano smarriti, non avevano idea di dove fossero arrivati, non avevano niente in mano», spiega a MC Diego Karamanukian, intel- lettuale della comunità armena di Montevideo, che parla un perfetto armeno e dirige Radio Arax, programma radiofonico di cultura armena. Com’è possibile che dopo un secolo dal genoci- dio, quattro generazioni e 13mila chilometri di di- stanza dal luogo degli avvenimenti, l’identità armena sia ancora così forte sulla sponda nord del Rio de La Plata? «Sono cresciuto con i rac- conti di terrore di mia nonna, che è stata serva di una famiglia turca. Arrivò qui non per cercare la- voro, ma per non farsi ammazzare. Curare questa identità è una reazione al genocidio e al negazio- nismo che dura tutt’ora», spiega Daniel Manue- lian. Lui e Diego sono dirigenti di Hnchakian, il partito socialdemocratico armeno presente in molti paesi, tra cui Libano, Usa e anche Uruguay. Per questa intervista, ci ricevono a Casa Armenia, un bell’edificio con giardino nel quartiere residen- ziale del Prado, nella parte Ovest di Montevideo. È sede del partito, luogo di cultura, sport e feste. «È incredibile pensare come un gruppo di per- sone, arrivate coperte solo di stracci, in poco A destra : Daniel Manuelian, a Casa Armenia, nel quar- tiere Prado, a Montevideo.
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