Missioni Consolata - Maggio 2021

come è stato preannunciato da Dio a Mosè, oppone il suo rifiuto alle richieste. Non solo, però, non acconsente al progetto di- vino di lasciare uscire il popolo, ma dichiara di non conoscere per nulla quel dio che ne avrebbe ordinato l’uscita, e sta- bilisce di appesantire le condi- zioni di lavoro degli ebrei, che da ora dovranno consegnare lo stesso numero di mattoni senza averne a disposizione le materie prime (Es 5,1-11). Il faraone, comprensibilmente, fa il proprio interesse, puntando a delegittimare il sedicente capo- popolo davanti agli ebrei. E ci riesce, tanto che questi iniziano a rimproverare Mosè per la nuova peggiorata condizione (Es 5,20-21). Mosè, d’altronde, non fa quello che il popolo si aspettava: ha convocato gli anziani, le persone più sagge ed esperte, i rappre- sentanti di tutto il popolo, ma poi non li ha portati davanti al fa- raone, dove è andato, invece, accompagnato dal solo Aronne. In più, non ha riferito al faraone ciò che Dio gli aveva suggerito di dire, né si è premurato di ope- rare quei prodigi che gli erano stati consigliati (Es 4,21-23). Semplice disattenzione o man- canza? Di fronte alla contestazione degli anziani, poi, Mosè sembra pren- dersela con Dio, riversando su di lui la responsabilità dell’acca- duto e accusandolo di non aver ancora fatto niente (Es 5,22-23). Come succede in tanti altri passi, Mosè non sembra proprio es- sere l’eroe senza macchia e senza paura che ci si poteva aspettare. Eppure, Dio si appoggia a lui, si fa rappresentare proprio da lui. IL DISCORSO DI DIO È a questo punto (Es 6,1) che Dio reagisce e conforta Mosè rivol- gendogli un altro discorso. Im- maginiamoci al suo posto: se fossimo Dio e dovessimo rassi- curare il nostro inviato, probabil- mente sottolineeremmo la no- stra forza davanti alla debolezza del faraone, destinata a essere sconfitta. Dio però non parla così. Lascia da parte la forza, e insiste su altre due ragioni per cui Mosè può fidarsi: la prima è la promessa di una discendenza e di una terra fatta ad Abramo, Isacco e Giacobbe, la seconda è l’oppressione degli ebrei. Entrambe le ragioni si muovono sul filo delle relazioni personali. Per Dio l’unico motivo di sal- dezza è il credere alla sua pro- messa, che non è radicata nella sua forza, ma nella sua fedeltà. È quasi un invito a Mosè e al po- polo a cambiare modo di pen- sare: non è perché Dio è più forte del faraone che gli israeliti possono essere sereni. Questa è un’osservazione vera (di fatto, Dio è più forte del faraone), ma non è quella più significativa. Se il centro dell’azione di Dio fosse la sua forza, gli ebrei passereb- bero da una schiavitù a un’altra (e, in un certo senso, è proprio quello che continueranno sem- pre a desiderare). Essi possono invece fidarsi di Dio, perché lui ha conosciuto i loro antenati, ha percorso un tratto di strada con loro, li ha accompagnati e ha ri- volto loro una promessa. E ora vede i loro discendenti oppressi. A guidare i pensieri di Dio non è la potenza o l’orgoglio, ma l’a- more. Dio si muove perché gli ebrei stanno male, e perché ha garantito ai loro antenati che ciò non sarebbe successo. Così inizia a cambiare il modo di ragionare di Mosè e dei suoi compatrioti, con un appello che continua a parlare anche a noi. Dio non cerca un popolo che lo lodi o gli offra sacrifici. Dio vuole la relazione, e vuole che questo popolo viva bene. Dio non ha bi- sogno delle nostre preghiere, ma di noi, del legame con noi. Quello che vuole stringere con l’umanità non è un contratto, ma una rela- zione di amicizia profonda. Po- tremmo addirittura dire che per- sino Dio non sia libero, perché è legato dall’affetto: non può tirar- sene fuori! Un cammino di libertà 34 maggio 2021 MC MOSÈ... E NOI Chissà se è questo che Mosè in- tuisce quando si definisce, per ben due volte, «uomo dalle lab- bra incirconcise» (Es 6,12.30). La circoncisione era un segno del patto con Dio, del fatto di essere riservati per lui. Quando Mosè dice di avere le labbra non cir- concise, può forse semplice- mente ricordare che non è un buon oratore, e che anzi bal- betta ( cfr. Es 4,10). Ma questa in- terpretazione sembra superfi- ciale e incoerente confrontata con tanta insistenza, e proprio in questo punto. Si direbbe quasi che Mosè am- metta di non aver ancora capito fino in fondo qual è la relazione di Dio con il suo popolo, di non sa- perla spiegare. È vero che Dio gli suggerisce, di nuovo, di mandare Aronne a parlare al posto suo (Es 7,1), ma è come se Mosè, pur es- sendo ormai coinvolto nel pro- getto, riconoscesse di non averlo ancora compreso fino in fondo. Perché i progetti di vita, le inter- pretazioni esistenziali, la rela- zione con Dio, non funzionano come una professione, per la quale devo essere stato pro- mosso all’esame di laurea e a quello abilitante per poterla esercitare. La vita (ma in realtà è così persino per le professioni), la si capisce, se va bene, mentre la si vive, non prima. E più spesso dopo. Questo però non toglie che il per- corso possa essere fruttuoso, utile, e possa cambiare la vita an- che agli altri. Mosè non ha capito ancora tutto, ma ha capito la cosa fondamentale: che la via d’uscita dalla situazione pesante in cui sono lui e il popolo si trova ascol- tando Dio, fidandosi di lui. Allo stesso tempo, sente di non avere ancora imparato, lui per primo, a fidarsi fino in fondo, ma sa che, persino così, Dio gli concede di essere una guida per gli altri: in- certa, limitata, ma autentica. Perché Dio non fa nulla senza l’uomo, ma accompagna e so- stiene l’uomo che è disposto a collaborare con lui. Angelo Fracchia (Esodo 04 - continua)

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