Missioni Consolata - Aprile 2021
63 aprile 2021 MC blica per ridefinire la sua fun- zione e per capire come pos- siamo farla funzionare in ma- niera autonoma dal mercato, perché quando le risorse si fanno scarse bisogna riscoprire la programmazione e creare le premesse per garantirci alcune sicurezze di base come il soddi- sfacimento dei bisogni fonda- mentali per tutti, la difesa dei beni comuni, un’occupazione minima per tutti. Traguardi che solo l’economia pubblica può garantire. Ecco perché è riduttivo, e alla fine poco risolutivo, concentrarsi sulle tematiche micro trala- sciando quelle macro. È un po’ come concentrarsi sul dito, mentre papa Francesco ci in- dica la luna. UNA VISIONE INCOMPLETA Azzardo un paio di ipotesi sul perché gli economisti cattolici hanno scarsa propensione ad occuparsi dell’architettura com- plessiva del sistema e soprat- tutto perché tendono a non in- cludere l’economia pubblica fra le scelte strategiche di cambia- mento. Una prima motivazione è che non hanno piena consape- volezza dello stato di crisi del pianeta e che il tempo della cre- scita è finito. La seconda moti- vazione è che fanno una lettura selettiva della dottrina sociale della Chiesa. Da Leone XIII in poi, molti papi hanno scritto encicliche sociali che hanno dato ampi riconosci- menti ad aspetti come la pro- prietà privata, l’iniziativa eco- nomica, il mercato. Nel con- tempo, hanno sempre puntualiz- zato che serve l’intervento dello stato, affinché tali libertà non entrino mai in rotta di collisione con il godimento dei diritti e la tutela dei beni comuni. Troppi economisti e politici hanno la tendenza a fermarsi alle prime affermazioni dimenticando di in- tegrarle con le precisazioni po- ste a loro corredo. Una lettura ideologica che ostacola la ri- cerca di soluzioni capaci di af- frontare le nuove sfide che la storia ci lancia. Francesco Gesualdi sulla compravendita, e quindi sul denaro, ma sulla gratuità. Se potessimo ottenere ciò che ci serve in forma diversa dall’ac- quisto, smetteremmo di dipen- dere dal denaro e quindi dal la- voro salariato. Automatica- mente, Pil, produzione e con- sumi smetterebbero di essere i padroni indiscussi della nostra vita, la sufficienza tornerebbe ad essere la nostra guida per ri- trovare l’armonia con noi stessi, con gli altri, con la natura. LE CALAMITÀ E IL «LAVORO D’USO» La soluzione è il «lavoro d’uso», la forma più ancestrale di la- voro, quello applicato diretta- mente ai bisogni da soddisfare in ambito personale e familiare: cucinare, lavare, riparare, cu- rare, insegnare. Una soluzione che ci può apparire obsoleta. Eppure se vogliamo ampliare il soddisfacimento dei nostri biso- gni, senza chiedere agli altri di aumentare i propri consumi, do- vremmo espandere proprio il la- voro d’uso. Con un’avvertenza: oltre che a livello individuale, il lavoro d’uso può e deve essere organizzato anche a livello col- lettivo. Lo sperimentiamo ogni volta che siamo colpiti da una calamità. Se il fiume esonda o arriva il terremoto, ci mettiamo subito tutti insieme per affron- tare l’emergenza. Ed ora molti sindaci invocano il lavoro d’uso anche in situazione di normalità: quando i soldi si fanno scarsi si scopre quanto sia importante il lavoro delle persone per soddi- sfare i bisogni collettivi. DAL MICRO AL MACRO Ovviamente il discorso è molto più articolato, ma questi brevi cenni mostrano che, per pas- sare da un’economia della cre- scita a un’economia del limite , nel rispetto della dignità di tutti e della piena inclusione lavora- tiva, bisogna sapere operare trasformazioni profonde nel- l’impostazione economica, fino a ripensare il ruolo del lavoro, il ruolo del mercato, il ruolo del denaro. Soprattutto bisogna concentrarsi sull’economia pub- dire che il Pil scorre dentro le nostre vene, non solo per il mar- tellamento ideologico che ab- biamo subito attraverso ogni possibile mezzo mediatico (pub- blicità) e istituzionale (scuola), ma anche perché il sistema è stato abbastanza abile da le- gare la sopravvivenza di cia- scuno di noi alla crescita. TRA NATURA E DISOCCUPA- ZIONE: DUBBI E PAURE In effetti, prima che alle im- prese, la sobrietà fa paura ai sin- dacati e ai partiti di sinistra per le ricadute sull’occupazione. Sappiamo tutti che il lavoro è le- gato a doppio filo ai consumi: se questi ultimi crescono, l’occupa- zione ha qualche possibilità di crescere, altrimenti a crescere sono i licenziamenti. La storia dimostra che il capitali- smo ha messo in atto un vero e proprio piano per trasformarci tutti in persone dipendenti dal lavoro salariato. Prima ci ha spossessato di ogni possibilità di provvedere a noi stessi, poi ci ha detto che l’unico modo per far fronte ai nostri bisogni è rifornirci al supermercato, che però esige denaro per fare pas- sare le merci al di là della cas- siera. Così il nostro problema è diventato come procurarci quel denaro che è chiave di accesso ad ogni nostro bisogno e desi- derio. Ed ecco il lavoro salariato come unica soluzione che il si- stema ci mette a disposizione. Ma il lavoro salariato è legato alle vendite, e più vendite signi- ficano più consumo di materia e maggiore produzione di rifiuti. Il che procura non poco imba- razzo in chi ha la doppia sensi- bilità sociale e ambientale : pra- ticare la sobrietà per non dan- neggiare la natura o vivere il consumismo per non favorire la disoccupazione? Per cui il vero tema che dovremo affrontare in una prospettiva di sostenibilità è quello del lavoro: come coniu- gare sobrietà e lavoro per tutti? La strada per uscire dal di- lemma è chiederci se esistono altri modi, oltre il lavoro sala- riato, per provvedere ai nostri bisogni. Modi non più basati Pianeta | Sistema economico | Encicliche | Laudato si’ R MC
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=