Missioni Consolata - Marzo 2021

77 marzo 2021 amico MC Molti ci chiedono che ci fac- ciamo noi missionari in un paese cattolico. Il discorso è sottile: qui il cattolicesimo è molto legato alla nazionalità. In più in Polonia gli stranieri sono pochi, e quei pochi, sono soprattutto dell’Est. La nostra comunità missionaria, composta da persone di tre con- tinenti e cinque nazionalità di- verse, diventa un segno elo- quente di universalità, aiutando molti a vedere un’immagine di chiesa diversa. Poi facciamo co- noscere le missioni, portiamo i giovani in Africa. E la gente ini- zia a pregare per le persone di altre culture». Che lavoro svolgete? «Siamo tutti impegnati nell’ani- mazione missionaria. Avvicinare la missione alla gente e la gente alla missione. In più io da otto anni sono segretario nazionale della Pontificia Opera Missiona- ria, e ho girato tutti i quaranta seminari polacchi». La difficoltà più grande? «Tolto il primo periodo in cui c’era la barriera della cultura e della lingua, la difficoltà credo che sia quella di stare in un am- biente che non ha la missione nel suo orizzonte». La soddisfazione? «Le soddisfazioni sono molte. Singoli incontri con le persone nei quali vedi che il Signore e la missione le cambia, le apre. È bello vedere come il Vangelo raggiunge molti attraverso di noi, che siamo strumenti fragili, deboli, contraddittori». Quali sono le grandi sfide della missione? «Questo anno della pandemia ci obbliga a ripensare molte cose. Cose che prima erano priorita- rie, forse non lo sono più. Anche la missione è da ripensare. Giovanni Paolo II, ha scritto nella Rredemptoris missio che la mis- sione, dopo duemila anni, è sol- tanto all’inizio. Il lavoro da fare è ancora immenso. Anche qui in Europa. In ogni caso, l’Asia ri- mane il continente più sfidante». Cosa offrono i missionari della Consolata al mondo? «Penso dica molto la parola “Consolata” che ci definisce. Portare la consolazione non è dare una pacca sulla spalla di- cendo “domani andrà meglio”. La consolazione ha radici pro- fonde. A volte magari è un aiuto concreto, però poi, profonda- mente, è aiutare le persone a la- sciare che il Signore si faccia strada in mezzo a loro, perché lui stesso è la consolazione». Cosa fare con i giovani? «Noi qui lavoriamo in mezzo ai giovani. A me piacciono le cose semplici. Più che sviluppare stra- tegie, penso che basti essere noi stessi. Essere in mezzo a loro quello che siamo chiamati a essere: missionari. Se tu sei una persona sincera, aperta, onesta con te stessa e quindi anche con Dio, le persone si fanno delle domande». Ci suggerisci uno slogan per i giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari? «Vicino a casa nostra, a Varsa- via, c’è la tomba di un giovane prete martire, ucciso dalla poli- zia comunista nel 1984. È il beato Jerzy Popie ł uszko. Lui ha sintetizzato la sua vita con le pa- role di san Paolo: «Vinci il male con il bene». Di fronte a un male che ci circonda e aggredisce, il bene è la risposta con cui si vince. È morto a 37 anni rima- nendo sempre fedele a questo ideale: parlava forte contro il re- gime comunista, mosso da un bene maggiore. I missionari non vivono mai in contesti facili, ma l’ultima parola ce l’ha il bene». Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af.MC / Luca Bovio

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