Missioni Consolata - Marzo 2021
giugno 2012. Successivamente le attività sono state gradual- mente riaperte, ma ancora oggi il pescato totale è il 10% di quello antecedente il disastro nucleare. Anche in questo caso, come av- viene per i prodotti agricoli e pastorizi, tutta la merce è analiz- zata per misurare la quantità di radionuclidi contenuta. La fetta di mercato nazionale (pari all’1% del totale) che occupavano i pe- scatori della prefettura prima dell’incidente nucleare è stata riempita da altre co- munità e sarà difficile che possa essere riconsegnata alle cooperative di Fuku- shima. Per sopravvivere ci si è affidati al senso di comunità: come è successo tra i piccoli coltivatori, anche i pescatori hanno potuto contare sulla soli- darietà dei concittadini che nei periodi più critici hanno acqui- stato i prodotti invenduti per- mettendo una difficile sopravvi- venza. LO SVERSAMENTO DELLE ACQUE Ora però un altro pericolo si sta profilando all’orizzonte. Un peri- colo più concettuale che reale: l’annunciato sversamento delle acque di contenimento radioat- tivo nell’oceano. Per evitare che il «corium» (la massa altamente radioattiva di combustibile nu- cleare fusa durante l’incidente ed oggi solidificatasi) liberi ra- dioisotopi nell’aria, viene insuf- flata acqua nei reattori 1, 2 e 3. Successivamente, questa acqua è filtrata e depurata da tutti i ra- dioisotopi tranne per il trizio, un isotopo radioattivo dell’idro- geno difficile e costoso da elimi- nare. Ad oggi circa 1,24 milioni di tonnellate di acque sono im- magazzinate in 1.061 serbatoi e ogni giorno se ne aggiungono 160 tonnellate. L’Iaea ( Interna- tional atomic energy agency ) prevede che la capacità di stoc- caggio si esaurirà nel 2022, ed entro tale data bisognerà deci- dere come smaltire se non tutta, almeno parte dell’acqua. Già nel 2013, dopo che le prove per eli- minare il trizio erano fallite, il go- verno aveva avvisato che, tra le opzioni considerate, quella dello scarico in mare era la più probabile compatibilmente con la sicurezza ecologica e l’eco- nomicità dell’operazione. Nel 2020 la decisione finale è stata accolta con preoccupazione non solo dalle associazioni am- bientaliste, che hanno ripropo- sto la visione apocalittica di un oceano Pacifico radioattivo e privo di vita, ma anche dai pe- scatori locali, preoccupati più per l’impatto negativo di tanto clamore sui consumatori che per l’effettivo inquinamento pro- vocato dal trizio. Il rilascio programmato delle ac- que ha una tempistica che du- rerà tra i sette e i trentatré anni (la durata dipende dal limite di radioattività massimo che si vuole raggiungere e dall’anno in cui si inizierà a sversare l’acqua) e comunque è stata scaglionata in modo da non superare mai il limite imposto dalla legge giap- ponese. Tenendo conto che la contaminazione da trizio nelle acque da versare in mare è di circa 1 PBq (da 0,5 MBq/l a 4 MBq/l) e che nei complessivi 1,3 milioni di metri cubi di acqua da scaricare sono presenti in totale circa tre grammi di trizio, è stato calcolato che, se l’intera quan- tità di acqua oggi presente nei serbatoi venisse scaricata nel giro di un solo anno, l’impatto nelle acque marine sarebbe di 0,00081 mSv/anno. Ben poco se paragonati ai 360 TBq/anno di trizio rilasciato tra il 2008 e il 2011 dalle sole centrali giappo- * GIAPPONE In alto: specialisti misurano le radiazioni attorno alla centrale di Fukushima. | A destra: esperti raccolgono campioni d’acqua nelle acque di mare antistanti la cen- trale nucleare. * marzo 2021 MC 54 © Susanna Lööf / IAEA Imagebank © NRA / IAEA Imagebank " Dopo Fukushima, i giapponesi non hanno fiducia nell’industria nucleare.
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