Missioni Consolata - Marzo 2021
Cile, Plaza Dignidad 39 ( Comisión económica para América Latina ), un quarto del totale della ricchezza è nelle mani dell’1% della popolazione, mentre il 10% con- centra il 66% della torta. All’estremo opposto, la metà delle famiglie più povere detiene il 2% della ricchezza. Per tutti gli anni Novanta, il Cile ha davvero so- gnato di toccare il cielo con un dito. Il sogno si materializzava in consumi di massa: televisori, case, auto, assicurazioni sanitarie, università per i figli e vacanze, grazie a un sistema di credito al consumo che ha permesso anche alle classi più umili di consumare al di sopra delle proprie pos- sibilità. Così è nata la bolla dell’iper-indebita- mento nella quale la famiglia media cilena ha un debito di circa il 75% del proprio reddito. Con il rallentamento della crescita mondiale, il peso del debito è aumentato e si è persa l’idea di un futuro migliore. «I cileni ricchi vivono come i ric- chi in Germania, i poveri come in Mongolia», nota Branko Milanovic, ex capo economista della Banca mondiale. La disuguaglianza tra ricchi e poveri si riconosce anche dal diverso sguardo sul futuro. Le élite ci- lene hanno sempre a disposizione opportunità personali o di corporazione, mentre i ceti popo- lari senza aspirazioni collettive e gravati dal peso del debito individuale sono spinti verso l’impo- verimento. L’uguaglianza materiale è una delle basi su cui poggia la domanda popolare per una nuova Costituzione. «Ci trattano come consumatori, non come citta- dini», ci spiega Claudia Heiss, direttrice del corso di Scienza politica della Universidad de Chile. La frustrazione è forte soprattutto nei giovani pro- fessionisti, cresciuti con la democrazia, che non hanno conosciuto la povertà né la dittatura, e hanno creduto alla promessa della meritocrazia: «Sei padrone del tuo destino, dipende tutto da te». Sono «l’eroe sconfitto del paese. Lavorano in ambiti diversi da quelli per cui hanno studiato, si sono rassegnati a un futuro più piccolo di quello che avevano sognato», li descrive il sociologo Manuel Canales. «I giovani professionisti frustrati sono la co- scienza sociale del movimento popolare del 2019», continua Canales, che ha promosso dei laboratori di ricerca su questo segmento di po- polazione. Hanno studiato, affogano nei debiti per pagarsi la laurea, ma è grazie all’educazione se parlano il linguaggio della scienza e della legge, grazie all’educazione hanno preso co- scienza dell’ingiustizia di una società dove le re- lazioni contano più di titoli di studio e sacrifici. Con la protesta del 2019 hanno compreso che il loro malessere non è un fallimento individuale, ma un fatto collettivo. La protesta li ha liberati dal senso di colpa, da debitori sono diventati creditori, chiedono indietro le promesse tradite. «Abbiamo aperto gli occhi», «Ci siamo tolti la benda», spiegano al gruppo di ricerca di Canales. La teoria neoliberista, di cui sono impregnate la Costituzione vigente e la società, non è stata so- stituita da un’ideologia diversa. Ma qualcosa è cambiato, si è liberata un’energia, una forza di cooperazione, come nel caso delle ollas comu- nes , i pasti organizzati dai vicini durante la qua- rantena. «C’è rabbia e c’è speranza in questi giovani professionisti», conclude la ricerca di Ca- nales. Provare a inventare un paese Di cosa è fatta l’energia sprigionata dalla frustra- zione dei cileni? Si è posta la stessa domanda Clelia Bartoli, filosofa del diritto presso l’Univer- sità di Palermo, che ha raccolto in un libro, «Aquí © Christian Van Der Henst S.
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=