Missioni Consolata - Marzo 2021

riva nel deserto, dove Dio gli prepara un futuro radioso tramite il matrimonio con la figlia di un sacerdote. Certo, perché i sacer- doti erano uomini protetti da Dio e detentori di un potere, spesso anche politico ed economico. Ma Reuèl, altrove chiamato Ietro, è sì un sacerdote, ma è anche un madianita. I madianiti erano una tribù di seminomadi, che vive- vano di pascolo e di espedienti, ai margini delle terre e dei colle- gamenti importanti e ritenuti senza legge né morale. Erano madianiti, per esempio, i com- mercianti che avevano comprato e rivenduto Giuseppe (Gen 37,28.36). Mosè acquisisce probabilmente un ruolo importante, benché straniero, nel clan dei madianiti, ma questo è uno dei clan meno desiderabili e più ignobili del tempo. E si direbbe che peraltro il suocero non gli possa garan- tire neppure ricchezza, dal mo- mento che manda al pascolo le Quando, dove e chi ha scritto l’Esodo? P er secoli si è ritenuto che l’Esodo fosse stato scritto da Mosè, quasi come un diario. Nel XIX secolo si è fatta strada una teoria che ha sostenuto che quattro quattro scuole diverse, in tempi diversi (*) , avessero contribuito a comporre l’Esodo così come lo troviamo oggi tra i primi cin- que della Bibbia. Anche questa teoria molto rigo- rosa, che ci ha aiutato a capire tanti particolari del testo, è ora in crisi. Oggi, i più (non tutti) pensano che esistessero delle tradizioni, in parte anche già scritte, precedenti all’esilio del 587 a.C., quando Gerusalemme e il tempio furono distrutti dai babilonesi. In quel tempo di crisi (l’esilio terminò nel 538 a.C.) e nei decenni successivi diversi saggi decisero che la tra- dizione ebraica non doveva morire: ripresero quelle tradizioni orali e scritte e diedero loro una veste unitaria, in quello che chiamiamo Penta- teuco, tenendo d’occhio la propria storia (dimen- sione più «di popolo»), le attenzioni di tipo rituale (più guardando al tempio e alle norme di purità e di alimentazione) e una sensibilità spirituale che potesse dare un’interpretazione e un senso all’e- sperienza personale e a quella comunitaria dell'esi- lio e della perdita di un proprio regno. Tutto è confluito in un testo solo, perché tutte que- ste dimensioni erano importanti. E tutto incentrato su un’esperienza di coraggiosa uscita da una «terra di schiavitù», sotto la guida di Mosè, di cui peraltro nei profeti e nei salmi si parla molto poco, perché probabilmente non era considerato così impor- tante. In quel tempo, però, parve che quell’espe- rienza, che forse aveva coinvolto solo alcuni piccoli gruppi, potesse interpretare bene il senso di quanto stava vivendo Israele dopo l’esilio. Così organizza- rono quei testi non solo per non dimenticare vi- cende antiche, ma soprattutto per dare coraggio e una guida ai contemporanei. Alla fine del VI secolo a.C. il testo dell’Esodo do- veva probabilmente essere quello che abbiamo noi oggi. Le poche correzioni e aggiunte fatte in seguito per adattarlo via via a situazioni nuove, testimo- niano quanto abbia continuato a essere ritenuto importante lungo gli anni. In fondo, continua a va- lere anche per noi, che non aggiungiamo più anno- tazioni e ampliamenti al testo, ma scriviamo arti- coli su MC. (*) Queste le qua ro scuole o fonti: 1. Jahvista (la più antica) che per il nome di Dio usa il sacro tetragramma JHWH. 2. Eloista (dell’VIII secolo a.C., nell’Israele del Nord) che usa il nome Elohim per indicare Dio. 3. Deuteronomista (VII secolo, nell’Israele del Sud), soprattutto il libro del Deuteronomio. 4. Sacerdotale (del post esilio) che raccoglie le norme liturgiche e rituali e si esprime soprattutto con il libro del Levitico. figlie nubili, segno che non ha neppure uno schiavo per accu- dire il suo bestiame, e accetta il rischio di esporre le figlie alle prepotenze e violenze degli altri pastori nel deserto. Mosè, pur in- tegrato in una famiglia impor- tante, patisce la propria condi- zione di straniero (Es 2,22). Pe- raltro, per anni sarà solo il pa- store del gregge di Ietro (Es 3,1): da nipote adottivo del faraone a servo del suocero, il quale final- mente può lasciare riposare le fi- glie al sicuro. Può stupire la scelta e il coraggio della tradizione biblica, che non esalta il proprio fondatore, non lo divinizza e, anzi, ne presenta con schiettezza i limiti, le fragi- lità, le meschinità. Ciò che gli au- tori dell’Esodo sanno è che la grandezza, anche di Mosè, di- pende dall’intervento divino. Ma allora, ciò che accade in Mosè potrebbe ripetersi con qualun- que persona che si lasci guidare dallo spirito di Dio. Un cammino di libertà 34 marzo 2021 MC UN DIO DI RELAZIONI Il secondo capitolo di Esodo si chiude con un accenno, improv- visamente cupo, alle sofferenze del popolo ebraico (2,23-25). E qui ricompare Dio. Quando sem- bra che gli uomini riescano a ge- stire adeguatamente, tra alti e bassi, le proprie vicende, il Si- gnore si nasconde dietro le quinte. Ma ora che tutto ciò che gli uomini riescono a fare è al- zare lamenti (e non si dice nean- che che li alzino a lui, che lo in- vochino), Dio si sente coinvolto, «se ne dà pensiero» (2,25). Non pretende di stare al centro della scena, ma si ricorda delle per- sone che di lui si erano fidate (2,24) e non le abbandona. E così anche la vicenda di Mosè, che sembra essersi incamminata su un binario morto della storia, acquisirà una nuova energia. Ma questa volta, in modo molto chiaro, per iniziativa divina. Angelo Fracchia (Esodo 02 - continua)

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