Missioni Consolata - Dicembre 2020
MC R rattere morale e salvifico, ma non scientifico, per cui volevo chiarire l’approccio che si do- veva avere nelle scienze. Le di- scussioni di carattere scientifico dovevano basarsi su ipotesi e teorie elaborate e confermate a partire dall’osservazione diretta della realtà naturale. L’osservazione sistematica e scientifica della realtà naturale offriva un cammino nuovo ed esaltante al sapere. Le con- ferme ottenute aprivano la strada a quello che sarebbe poi rimasto il migliore metodo per comprendere i meccanismi della realtà naturale: il metodo scientifico sperimentale. Quindi tu fosti uno dei primi protagonisti di quello che sa- rebbe stato un lungo contra- sto tra religione e scienza? Sì, perché con le sentenze di condanna da cui fui raggiunto, si voleva sottolineare che non ci poteva essere una scienza indi- pendente dalla visione religiosa biblica, come sostenevo io. I tempi della cultura e della so- cietà nelle quali vivevo non erano ancora maturi ad acco- gliere le mie idee, ma io volevo che maturassero. Nel 1633 accettai di presentarmi al tribunale dell’Inquisizione a Roma, per risolvere la questione che ormai si trascinava da prima del 1614, quando un frate di Fi- renze mi aveva denunciato al sant’Uffizio. Una questione che non riguardava solo me, ma an- che altri studiosi (laici, religiosi e frati) che condividevano le mie idee. Quindi non finì nel 1616 quando ti ammonirono per la prima volta a non profes- sare né divulgare la teoria copernicana? Dopo quell’ammonizione, il di- battito continuò, e in modo molto vivace, anche perché avevo un carattere forte e non mi lasciavo certo intimidire dai miei oppositori. In più il numero di coloro che condividevano la visione copernicana del mondo e si interrogavano sul vero rap- porto tra scienza e Sacre Scrit- ture cresceva. Fu in quel pe- riodo che pubblicai il mio libro Il Saggiatore , che impressionò positivamente il papa Urbano VIII, con il quale mi incontrai poi molte volte. Quale fu la causa dell’ultimo processo e condanna? Nel 1632, dopo anni di lavoro, pubblicai il libro Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo , approvato anche dal consultore dell’Inquisizione di Firenze. Nel libro, oltre a sostenere e pro- vare la teoria copernicana, riba- divo che la matematica, mezzo necessario per capire la razio- nalità della natura, non poteva essere in contraddizione con Dio, il quale è assoluta raziona- lità. Il libro ottenne un grande successo anche tra molti eccle- siastici e studiosi, ma fece infu- riare i conservatori degli uffici romani che lo videro come una minaccia alla fede. In più, in al- cuni ambienti, si cominciò ad ac- cusare il papa di essere troppo tenero con le correnti eretiche. Da qui la decisione di convo- carmi a Roma per il processo, che iniziò il 12 aprile e si con- cluse il 22 giugno 1633 con la condanna. Quando ti hanno condan- nato, sei finito in prigione? La condanna prevedeva tre anni di prigione e la recita una volta alla settimana dei sette salmi penitenziali. Ma la prima cosa che dovetti fare fu l’abiura, nella quale giuravo di credere in tutto quello che «tiene, predica e in- segna la santa Chiesa cattolica». Ma per i salmi, hanno accettato che li dicesse mia figlia, suora di clausura, e presto la pena venne tramutata in arresti domi- ciliari che scontai fino alla morte nella mia villa di Arcetri, vicino a Firenze, chiamata «il Gioiello». Il 10 novembre 1979, nella sala regia del Vaticano, accanto alla Cappella Sistina, in occasione del centenario della nascita di Albert Einstein, davanti a cardi- nali, ambasciatori, scienziati e uomini di cultura di tutto il mondo, Papa Wojtyla ha affer- mato: «La grandezza di Galileo è nota a tutti, come quella di Einstein. Ma, a differenza di co- lui che oggi noi onoriamo da- vanti al Collegio cardinalizio, nel Palazzo apostolico, il primo ebbe molto a soffrire – noi non sapremo nasconderlo – da parte di uomini e organismi della Chiesa». Dopo aver ricordato che il Con- cilio Vaticano II aveva deplo- rato i conflitti che hanno in- dotto gli uomini a credere che ci sia contrasto tra scienza e fede, il Santo Padre ha così pro- seguito: «Io auguro che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collabora- zione, approfondiscano l’e- same del caso Galilei e, nel ri- conoscimento leale dei torti, da qualsiasi parte provengano, facciano scomparire le lacune che questo caso ancora pre- senta, nella mente di molti, in una concordia fruttuosa fra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. Io dò tutto il mio ap- poggio a questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza e aprire le porte a future collaborazioni». Secoli dopo la sua morte, nel 1992 la Chiesa ha riconosciuto formalmente la grandezza di Galileo Galilei, «riabilitandolo» e assolvendolo dall’accusa di eresia. Egli è sepolto a Firenze, in Santa Croce, nel mausoleo dei sommi italiani. Don Mario Bandera 75 dicembre 2020 MC © acquarello di Paul Gicuhi / The Seed
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