Missioni Consolata - Dicembre 2020

ossier ciati della politica, l’Ue rinunci al suo cuore, alla «democrazia inclusiva» e «umanitaria» che è alla base stessa della genesi e della necessità storica ed economica dell’Europa unita. Il paradosso europeo Se si guardano le nazionalità delle persone i cui corpi vengono recuperati nel Mediterraneo, ri- sulta una verità asciutta e terribile: molti erano profughi, meritevoli di protezione internazionale. Il sistema europeo per i rifugiati è paradossale: per accedervi è necessario presentarsi alla fron- tiera dell’Ue, ma alla frontiera si può arrivare solo come turisti - dissimulando quindi il proprio bisogno di protezione - oppure come irregolari. Zygmunt Bauman scriveva: «Il viaggiare per pro- fitto viene incoraggiato; il viaggiare per sopravvi- venza viene condannato, con grande gioia dei trafficanti di “immigrati illegali”, e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indi- gnazione provocate dalla vista di “emigranti eco- nomici” [morti] nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli». Il primo protocollo di apertura di «Corridoi uma- nitari» promossi dalla Comunità di Sant’Egidio sulla base di norme vigenti (l’art. 25 del Regola- mento europeo n.810/2009 che prevede la possi- bilità per gli stati della Ue di emettere visti umanitari a territorialità limitata, cioè validi per un singolo paese), è stato firmato con i ministeri degli Esteri e dell’Interno, assieme alla Federa- zione delle chiese evangeliche italiane (Fcei) il 15 dicembre 2015. Successivamente, altri protocolli sono stati firmati anche con la Conferenza epi- scopale italiana (Cei) e la Caritas. Oggi, dopo cinque anni, ci sono corridoi attivi anche in Francia, Belgio, Andorra e San Marino, nella speranza di creare un «Corridoio europeo». Il «dopo approdo» I Corridoi umanitari, che sarebbe meglio definire semplicemente «umani», rappresentano una buona pratica non solo per l’arrivo, ma anche per l’inclusione dei rifugiati. Quella dei percorsi di accoglienza e integrazione dopo l’arrivo è, in- fatti, la parte forse meno conosciuta del pro- getto, ma non per questo meno significativa. 46 dicembre 2020 È stato a Lampedusa che ho letto su un lenzuolo la scritta, metà grido e metà preghiera, «Corridoi umanitari». “ Nel «modello italiano» dell’accoglienza, il «dopo approdo» è il punto più dolente: straordinari nella prima accoglienza, siamo deficitari nella seconda, mostrando scarsa capacità di promuo- vere autonomia e integrazione delle persone ac- colte. I Corridoi umanitari, invece, per loro natura, promuovono una rete di persone che ac- compagna i rifugiati passo dopo passo, senza la- sciarli soli e smarriti in un mondo per loro sconosciuto e a volte ostile. La grande avventura dei Corridoi inizia come una favola, anche se non la è: si sale su un aereo di linea, invece che su un barcone; si vede dall’alto il mare bello e amico; si scende a Fiumicino stra- lunati e col cuore che batte, e si è accolti come in una festa da volti che poi diventeranno amici. Due giorni dopo si viene già accompagnati da qualcuno che mostra come si raggiunge la scuola dove i bambini sono già iscritti, come si prende l’autobus, dove sono i negozi. Qualcuno che aiuta a fare la spesa e a essere conosciuti in paese, nel quartiere. Lo stupore del «modello adottivo» Di solito con i Corridoi, non arrivano singoli, ma gruppi, famiglie più vulnerabili di altre. Nonne con ragazzi che hanno perso i genitori in guerra, donne e adolescenti, chi ha bisogno di cure ur- genti. Ciascuno con la sua storia già «verificata» prima di partire. Il viaggio, l’accoglienza, l’accompagnamento al- l’autonomia, tutto è a carico della società civile. Su base volontaria. Viene così svuotato in radice l’argomento, miope ma popolare, che dice: «Basta spendere soldi pubblici per gli stranieri!». In più, si mettono insieme risorse umane, pro- fessionali, spirituali, civili altrimenti inutilizzate. Invece di dare per scontata la frammentazione sociale, ci si mette insieme, si riduce la solitu- dine: giovani, adulti, pensionati, anziani, diven- tano il nerbo di un’esperienza che trasforma i problemi - di lingua, inserimento, diffidenza, paura - in una rinascita, spesso al- legra, appassionante, di pezzi di società civile. I gruppi che accol- gono, si assu- mono gli oneri materiali e

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