Missioni Consolata - Dicembre 2020

un’azienda che fa porte qui vicino. Ho un con- tratto di tre mesi. Purtroppo in Italia non c’è tanto lavoro, e ho paura di rimanere senza». Chiediamo se, oltre alla lingua, hanno avuto altre difficoltà: «Per me tutto bello», risponde Amira. Il futuro da costruire «Io spero in un contratto lungo di lavoro», dice Farid quando chiediamo come vedono il loro fu- turo, «e spero di comprarmi una casa». «Io spero di aprire un negozio per fare la sarta», aggiunge Amira, «mi piace molto cucire. Io per il futuro penso anche ai miei bimbi che conosce- ranno due lingue: arabo e italiano». La piccola Iman si sta addormentando in braccio alla mamma. «Se in Siria finisse la guerra, torne- reste?», chiediamo. «Io no, mai!», risponde de- cisa Amira: «No no no! Io ho visto il massacro: in cinque minuti sono morte cento persone. Bimbi e donne. Solo bambini e donne». «Loro non sono morti per una bomba», aggiunge Farid, riprendendo il discorso della guerra che avrebbero voluto entrambi lasciare da parte, ma che forse è ancora troppo vivo, anche dopo otto anni. «Loro non sono morti per una bomba, ma con il coltello. Coltello! Tutti! L’ho visto: due bambini di due mesi. Perché con il coltello? Per- ché i bimbi?», Farid si commuove e ha la voce rotta. Anche per la rabbia. «E così non voglio tornare in Siria», conclude Amira, ma Farid riprende: «La mia famiglia è quasi tutta in Siria. È difficile adesso per loro. Ho Qui: bambini siriani e una donna negli stretti vicoli di un campo pro- fughi nella valle della Bekaa in Libano nel giugno 2018. Guada- gnarsi da vivere nei campi fatiscenti del Libano è un inferno per i rifugiati siriani, ma l’alternativa è peggiore: per gli uomini di età superiore ai 18 anni è quella di andare a casa ed essere costretti a prendere le armi. #CorridoiUmanitari MC tre fratelli avvocati, ma non c’è lavoro per loro: solo guerra. È difficile. Difficile tanto: non c’è cibo, non c’è acqua, non c’è luce. Da nove anni è così. Non ci sono soldi, non c’è lavoro. Il lavoro è la guerra. Così lavorano». «La gente qua in Italia è gentilissima», torna a dire Amira. «Per me, io voglio rimanere sempre qua. Abbiamo trovato una famiglia grande. Gli italiani sono grandi». Un bicchiere di mate Ci rendiamo conto che fuori è oramai buio. La piccola Iman dorme, Mahdi invece è sveglio, ma irrequieto. È tempo di togliere il disturbo. Mentre però iniziamo a salutare, Farid ci chiede se ci piace il mate. Rispondiamo di sì, l’abbiamo bevuto in Argentina diversi anni fa. «Bravo», ci incalza lui, «io bevo il mate sempre», e aggiunge che poco fa ha bevuto il tè solo per cortesia nei nostri confronti. «In Siria, se vieni a trovarmi e non bevi il mate, per me è un pro- blema. Come il caffè per gli italiani», si alza sor- ridente e va in cucina. Dopo poco, torna con un vassoio sul quale ci sono due bicchieri pieni di yerba mate , una teiera e due bombillas , le can- nucce tradizionali. Farid versa l’acqua bollente nel bicchiere. È molto contento che beviamo il mate insieme. «Tutti i siriani bevono il mate. Se io non bevo il mate, non vado al lavoro. È la mia colazione. Lo bevo sempre. Mattina, notte, pranzo». Farid parla ad Amira in arabo per chiederle qual- cosa, poi va di nuovo in cucina. Quando torna, ha un pacchetto di yerba mate tra le mani, e una bombilla . «È difficile trovare italiani a cui piace il mate», ci dice, e ce li regala. Beviamo parlando del più e del meno: dove comprano la yerba mate , quanto costa, quanto è bella l’Italia, quanto era bella la Siria prima della guerra, con i monti, il mare, la gentilezza delle persone, luoghi pieni di storia come Palmira. Quando salutiamo per andare, Farid ci ripete per la terza volta: «Per favore tu scrivi sul giornale: grazie ai miei fratelli. Grazie, grazie!». Luca Lorusso dicembre 2020 39 «Adesso in Italia la mia vita è nuova. Ci sono due gemelli: è una famiglia nuova, una vita nuova. Siamo felici!» “ © Afp photo / Haitham Mussawi

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=