Missioni Consolata - Dicembre 2020
caldo, zucchero e cucchiaini. Intanto arriva Amira: occhi nerissimi in un viso giovane, sulla trentina, incorniciato da un velo nero. Tiene in braccio Mahdi, che ci guarda. Il Covid non ci per- mette contatti fisici, non ci stringiamo la mano, ma sorridiamo molto. Cinque anni in un garage in Libano Amira e Farid sono scappati otto anni fa dalla loro terra con le immagini negli occhi (e negli in- cubi) di un’amica e dei suoi quattro bambini sgozzati durante un’incursione di forze filogover- native nella loro città di Houla, vicino Homs. L’uomo tranquillo che abbiamo di fronte, in Siria è considerato disertore, e per questo ricercato dalla polizia. Lui e sua moglie sono arrivati in Italia nel 2018, dopo cinque anni di apolidia in Li- bano, tramite i «Corridoi umanitari» organizzati dalla comunità di Sant’Egidio e dalla Papa Gio- vanni XXIII in accordo con lo stato italiano. «In Siria ci sono problemi grandi», racconta Farid nel suo italiano semplice ma comprensibile. «Anche in Libano è molto pericoloso: i siriani non hanno documenti e sono sempre cercati dalla polizia. In Italia, invece, stiamo bene». I due sposi, in Libano hanno vissuto in un garage appena fuori dal campo profughi di Tel Abbas. La loro condizione di rifugiati non è mai stata rico- nosciuta, e, con il tempo, è cresciuto il rischio di essere arrestati e rimandati in Siria. Per un po’ di tempo hanno potuto vivere grazie ai soldi che Farid aveva messo da parte in Siria con la sua ditta, ma quando quelli sono finiti, ha dovuto cercare lavori in nero, mal retribuiti e pe- ricolosi, per pagare l’affitto del garage, la luce, il cibo. Poi ha conosciuto i volontari dell’Opera- zione Colomba: «Ho incontrato tanti amici ita- liani in Tel Abbas. Loro sono molto forti e anche molto gentili». Farid sorride. «Loro venivano da noi, mangiavamo assieme. Anche quando c’era il ramadan. Conosci il ramadan?», ci chiede. Poi prosegue: «Per loro era difficile fare il digiuno», e sorride. «Lo facevano due giorni. Poi basta». Una vita nuova in Italia Chiediamo ad Amira e Farid come si trovano in Italia. «Per me, sono felice», risponde Farid, «perché non c’è il rischio che c’era in Libano. Poi in Italia ci sono tante persone amiche che sem- pre ci aiutano e sono molto gentili». «Per me, quando sono arrivata in Italia, avevo paura», dice invece Amira, «perché pensavo che la gente era come in Libano. Ma poi, piano piano, ho visto che andava tutto bene». Amira ride e incrocia timidamente il nostro sguardo. «È cambiata la nostra vita. Ora non voglio più tor- nare in Libano e neanche in Siria». Farid riprende il discorso degli amici, ed elenca alcuni nomi dei molti italiani che li hanno aiutati: «Giorgio e sua moglie Elisa sono molto bravi. Anche Alessandro, anche Abu Tony e tanti altri. Loro si preoccupano sempre per noi. Adesso in Italia la mia vita è nuova. Ci sono due gemelli: è una famiglia nuova, una vita nuova. Siamo fe- lici!». Farid ci invita a guardare i suoi bimbi, pieno di orgoglio. «Dieci anni fa, eravamo già sposati, ma non c’erano figli. Era un problema», dice grave, poi sorride ironico: «Anche adesso è un problema: loro non dormono tutta la notte». «Tutti in Siria a fare guerra» Quando chiediamo loro di raccontarci della Siria, si fanno entrambi seri: «Veniamo da Houla, Homs», la cittadina nella quale furono uccise 108 persone nel maggio 2012, tra cui molte donne e bambini inermi. Farid si consulta in arabo con Amira: «Il presi- dente è un criminale di guerra», dice abbassando #CorridoiUmanitari Amira e Farid sono fuggiti da un paese devastato con un fondato senso di pericolo. “ dicembre 2020 37 MC © Luca Lorusso © Luca Lorusso
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