Missioni Consolata - Dicembre 2020
fatti un soldato è sempre con lui, ma è un cittadino romano, quindi trattato comunque con i guanti (anche se a Roma nella sua con- dizione si trovano in tanti, molti di più che in Oriente), e in ogni caso con dei capi di imputazione evidentemente alleggeriti dalle testimonianze dei procuratori. UNA CONCLUSIONE APERTA AT 28,30 31 Abbiamo già detto che a volte Luca sembra uno sceneggiatore per il cinema. Ma a Hollywood avrebbero di certo pensato a un lieto fine in cui Paolo venisse libe- rato, magari dopo aver parlato del Vangelo davanti all’impera- tore. E invece gli Atti degli Apo- stoli qui ci offrono la seconda grande sorpresa di questi ultimi capitoli: la narrazione finisce con l’annotazione che Paolo poteva incontrare chi voleva e annun- ciava il regno di Dio, ma nulla si dice su come sia andato a finire il processo. Non solo manca il lieto fine, ma sembra che manchi la fine. Perché mai? Oggi c’è chi fa notare che due anni (28,30) erano il tempo mas- simo di durata legale di un pro- cedimento giudiziario. Peraltro, in tribunale si dava la prece- denza ai processi più importanti, o che avevano alle spalle pres- sioni più potenti. Evidentemente il caso di Paolo non è stato rite- nuto pericoloso per Roma, e nella capitale le pressioni del sinedrio non riescivano a farsi sentire. Può anche darsi che, finiti i due anni, Paolo sia stato semplicemente scarce- rato, senza che il processo abbia avuto luogo. Che cosa abbia fatto dopo, Luca preferi- sce non dircelo. C’è chi sostiene invece che pro- prio il silenzio di Luca suggerisca che il processo, per un motivo o per l’altro, sia andato a finire male, con la condanna a morte di Paolo. La tradizione romana vuole che l’apo- stolo sia in effetti morto martire alle Tre Fontane oppure lungo la via Ostiense. Già in questa occasione o più tardi? Non lo sappiamo. Ma si po- una chiesa in uscita siamo sicurissimi sulla loro posi- zione precisa, si trovavano sulla stessa via Appia a una quindi- cina di chilometri da Roma. Qual- che ritardatario, oppure le comu- nità cristiane romane non erano riuscite a mettersi d’accordo? Teoricamente queste comunità dovevano aver già ascoltato la lettera di Paolo ai Romani, ma paiono non sapere niente del- l’opposizione contro di lui che si era diffusa a partire da Gerusa- lemme (28,21). Può stupirci, ma c’è da ammettere che le pretese del sinedrio di governare su tutto il mondo ebraico (i cristiani di origine ebraica si considera- vano ancora ebrei), non sono messe facilmente in pratica. Pe- raltro, questi ebrei sanno che sul movimento dei cristiani c’è pa- recchia discussione (28,22). Tale discussione si rinnova an- cora intorno a Paolo, in grado di incontrare persone, dibattere, evangelizzare, argomentare e suscitare almeno domande e dubbi nei suoi interlocutori (28,23-24). Di nuovo, non stupia- moci per la libertà di movimento di un prigioniero indagato come Paolo: è in catene, è vero, e in- trebbe ritenere che l’autore degli Atti non volesse finire la sua opera con quello che, umana- mente, era un fallimento. Altri ri- battono che come il martirio di Stefano non è presentato di sfuggita né tantomeno come un insuccesso, così la stessa glorifi- cazione si sarebbe potuta nar- rare per Paolo. Se ci teniamo però a quello che è scritto, dobbiamo ammettere che la conclusione ha delle so- miglianze con quella del Van- gelo di Marco (la conclusione ori- ginaria, in Mc 16,8), che Luca si- curamente conosceva, in quanto ne aveva usato diverse pagine per il proprio Vangelo. Quel Van- gelo finisce con le donne che vanno via dalla tomba vuota senza dir niente a nessuno, per- ché avevano paura. Si ammette oggi che l’intenzione dell’evan- gelista doveva essere proprio di tenere aperta la porta ai lettori, perché si mettessero in gioco, si facessero domande e comple- tassero l’opera delle donne. Luca, alla fine degli Atti, ci dice solo che Paolo continuava a evangelizzare, senza ostacoli e senza paura. Sappiamo così che il Vangelo viene annunciato a Roma, centro del mondo, capi- tale di un impero che si poteva ritenere universale ed eterno. E allora Luca ci porta di nuovo al centro del discorso. È vero: negli ultimi quindici capitoli ha parlato quasi solo di Paolo, che per noi lettori è diventato il protagonista e il centro dell’attenzione. Ma Luca, lasciando aperto il rac- conto delle sue vicende, ci ri- corda, quasi di colpo, che il pro- tagonista non è l’apostolo. Il vero attore di quest’opera è lo Spirito che muove l’annuncio. Ed en- trambi sono liberi di agire, per- sino nella capitale, in quella Roma che poteva essere consi- derata il centro del mondo, del potere, del male. Paolo è in catene, ma il Vangelo è libero. E allora, ci suggerisce Luca, non c’è bisogno di aggiun- gere altro, perché tutto l’essen- ziale è stato detto. Possiamo scrivere la parola «Fine». Angelo Fracchia (20-fine) 34 dicembre 2020 MC
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