Missioni Consolata - Novembre 2020

che, negli ultimi anni, hanno so- stituito i tradizionali ingredienti naturali, come le mandorle tri- tate, la farina d’avena e la po- mice. È stato calcolato che ogni persona produce circa 2,4 mg di microplastiche al giorno. Negli ecosistemi acquatici le mi- croplastiche riescono a esple- tare tutto il loro potenziale di- struttivo . Esse possono causare danni fisici come il soffoca- mento degli invertebrati filtra- tori. Oltre a questo esse sono responsabili dell’assorbimento e del bioaccumulo di sostanze fortemente tossiche con pro- prietà mutagene, cancerogene e teratogene come gli ftalati, i Pcb, il bisfenolo A, le organoclo- rine e i metalli pesanti. Pur- troppo i fr ammenti di plastica in acqua si comportano come delle spugne, assorbendo le so- stanze tossiche disciolte e può succedere che un piccolo fram- mento riesca a concentrare su di esso una quantità di sostanze tossiche pari a un milione di volte quella presente nelle ac- que circostanti. DISASTRO MARINO Non c’è più alcuna zona dell’o- ceano, inteso come insieme di tutti i mari terrestri, che non sia contaminata dalle microplasti- che, anche laddove non si ve- dono rifiuti plastici galleggianti, come nel passaggio a Nord Ovest nel mare Artico, dove una serie di campionamenti delle acque ha rivelato la presenza di smog di microplastiche e di na- noplastiche. Le ricerche con- dotte in questo mare hanno messo in evidenza il fatto che le microplastiche qui trovate non derivano da processi di degra- dazione in loco di rifiuti in pla- stica di maggiori dimensioni, ma sono state trasportate dalle cor- renti oceaniche, quindi proven- gono dai continenti in cui la pla- stica viene prodotta e dispersa in acqua. Tra l’altro i sistemi di depurazione e filtraggio delle acque (laddove esistono) non riescono a trattenere le micro- plastiche e le nanoplastiche, per via delle loro ridottissime di- mensioni. Tutti i campionamenti 63 novembre 2020 MC sono microplastiche. Questo va- lore è probabilmente sottosti- mato, considerando che parte delle nevi fondono, quando si alza la temperatura, riversando il loro contenuto nei ruscelli. È quindi chiaro che le microplasti- che e le nanoplastiche in tal modo possono raggiungere tutti i bacini idrografici intermedi fino ad arrivare al mare. Lo stesso viaggio viene intrapreso prima o poi da tutti i minuscoli frammenti sparsi sul terreno, ogni volta che si verificano delle precipitazioni. A questi si aggiungono le micro- plastiche e le microfibre river- sate quotidianamente nelle ac- que di scarico di ogni centro abi- tato e quelle generate diretta- mente in mare dalla frantuma- zione e degradazione delle reti e delle attrezzature da pesca, ol- tre che dei rifiuti in plastica get- tati dalle imbarcazioni e di quelli giunti attraverso i fiumi. Quindi, il mare è ricchissimo di micropla- stiche e microfibre derivanti da- gli oggetti che comunemente usiamo nella nostra vita quoti- diana e nelle nostre attività. Ad esempio, la nostra lavatrice me- diamente provoca a ogni nor- male lavaggio il rilascio di circa 1.900 microfibre per ogni capo d’abbigliamento sintetico, corri- spondenti a circa 100 fibre/litro per il lavaggio di tutti i capi, quantitativo che costituisce il 180% delle fibre di un analogo abbigliamento in lana. Durante la stagione invernale, inoltre, uti- lizzando più indumenti, il rilascio di microfibre aumenta del 700%. A quelle rilasciate in acqua, si devono aggiungere quelle de- positate al suolo. Secondo una ricerca condotta nel 2016 dall’U- niversità di Parigi Est, sull’area cittadina (circa 2.500 Km 2 ), ogni anno, cadono al suolo 3-10 ton- nellate di microfibre provenienti dagli abiti sintetici . I micro- beads e i frammenti spigolosi di polietilene sono invece conte- nuti in prodotti di uso quotidiano come lo scrub facciale, alcuni tipi di shampoo e di saponi, il dentifricio, l’ eyeliner , le creme solari, i detergenti esfolianti, in quantità che talora raggiungono il 10% del peso del prodotto e effettuati in diverse parti dell’o- ceano hanno evidenziato come solo l’8% dei frammenti trovati è più grande di un chicco di riso. Date le loro ridottissime dimen- sioni, le microplastiche e le na- noplastiche entrano a fare parte della catena alimentare , rila- sciando le sostanze tossiche che trasportano, le quali sono caratterizzate da un processo di bioaccumulo o biomagnifica- zione, cioè il loro quantitativo all’interno degli organismi au- menta man mano che si sale lungo la catena alimentare. Fre- quentemente gli animali a vita bentonica, cioè viventi sui fon- dali marini si nutrono delle mi- croplastiche, con tutto il loro contenuto di sostanze tossiche. Tra questi animali vi sono le cozze e le vongole, che spesso finiscono nei nostri piatti, i cro- stacei cirripedi (balani), gli inver- tebrati detritivori come oloturie, isopodi, anfipodi e policheti. Le nanoplastiche possono essere ingerite invece dagli organismi planctonici, che sono il cibo per elezione della balenottera co- mune ( Balaenoptera physalus ) e dello squalo elefante ( Cetorhi- nus maximus ), animali di grossa taglia che in tal modo accumu- lano nel loro tessuto adiposo quantità rilevanti di ftalati (me- diamente 45 ng/g di grasso nella balenottera) derivanti dal plancton contaminato. I pesci sovente ingeriscono microplasti- che, contaminandosi con le so- stanze tossiche trasportate e quelli predatori, che si nutrono delle specie più piccole, accu- mulano nel loro tessuto adiposo ingenti quantità di tali sostanze. UN PIATTO BEN CONDITO Secondo la Coldiretti, in Italia consumiamo mediamente 25 Kg a testa di pesce all’anno, mentre il leader europeo del consumo di pesce è il Portogallo con 56 Kg procapite all’anno. È logico pensare che, attraverso il cibo, ci ritroviamo nel piatto la pla- stica , che abbiamo disperso in mare qualche anno prima, per giunta condita dalle sostanze tossiche che è riuscita ad assor- bire, oltre a quelle di cui è nor-

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