Missioni Consolata - Novembre 2020

lemme (25,9), anche come gesto di lusinga nei confronti degli ebrei che è appena arrivato a gestire. Di fronte al pericolo del viaggio e di un nuovo processo a Gerusalemme, Paolo taglia de- finitivamente i ponti e si appella al tribunale di Cesare. È un privi- legio degli ebrei, quello di poter essere giudicati da tribunali ebrei, ma per Paolo sarebbe un rischio; i cittadini romani, a loro volta, possono in ogni momento appellarsi a Cesare, così da es- sere processati a Roma, dove i giochi di potere delle province non contano nulla. Non ci si può ritirare da un appello del genere: i romani sono particolarmente severi nei confronti di chi muove accuse e poi le lascia cadere. A Roma, quindi, Paolo andrà. Non prima, però, di incontrare Agrippa e Berenice. Erode Agrippa II è un nipote di Erode il Grande, cresciuto a Roma e te- nuto dai romani in un’alta consi- derazione che pare si sia abbon- dantemente meritata. C’è chi dice che se non fosse nato troppo tardi avrebbe potuto ri- prendere in mano lui la provincia di Giudea, evitando la rivolta del 66. Luca ce ne offre un ritratto altrettanto lusinghiero (26,3, ad esempio). Benché anche lui ab- bia sposato sua sorella, dopo che lei era già stata moglie di un altro (e più tardi avrebbe avuto un terzo marito), e sebbene il loro arrivo (25,23) ricordi per una chiesa in uscita Ad accusare Paolo arriva un tale Tertullo (il nome è latino: cosa si diceva sull’intento di far dimenti- care Gerusalemme?), apparente- mente avvocato di mestiere, che inizia lodando Felice, per poi tentare un’accusa abbastanza mal concepita; la replica di Paolo procede liscia finché il suo di- scorso, da storico e filosofico, ar- riva a chiedere impegno da parte di chi ascolta (24,25). A quel punto Felice lo ferma. È un governatore che anche le altre fonti antiche ritengono inaffida- bile: infatti, secondo Luca, il pro- cesso a Paolo non viene avviato né l’apostolo viene liberato per- ché Felice spera in qualche maz- zetta per lasciarlo andare (24,26). Sappiamo che al termine del suo mandato, verrà poi chia- mato a Roma per spiegare di- versi difetti della sua gestione, ma alcuni giudei intercederanno per lui e non verrà punito. Forse l’annotazione perfida di Luca (24,27) non è campata in aria. L’ULTIMO RE GIUDEO 25 26 A Felice succede il nuovo gover- natore, Festo, il quale cerca in- nanzi tutto di sciogliere i casi che si sono accumulati, e per questo ascolta Paolo. Evidentemente non trova nessun fondamento per le accuse politiche (altrimenti i romani non avrebbero avuto scrupoli a punirlo) e, sentendo che le dispute sono religiose, vorrebbe rimandarlo a Gerusa- 76 MC © AfMC / Benedetto Bellesi - resti del palazzo inferiore a Cesarea sfarzo e contesto il banchetto nel quale si decise la sorte di Giovanni Battista (Mc 6,21-22), Agrippa e Berenice ascoltano con attenzione l’ultima delle grandi autodifese di Paolo. Se Festo, digiuno di cose ebraiche, alla fine del discorso esplode in un «Sei pazzo, Paolo: la troppa scienza ti ha dato al cervello!» (At 26,24), Agrippa non si espone, come si conviene a un politico, ed è molto più rispet- toso. Paolo, in realtà, tenta di coinvolgerlo con una domanda volta a fargli prendere posizione, dal momento che Agrippa cono- sce bene i profeti e può valutare la bontà del suo discorso (26,25- 27). La risposta del re è una bat- tuta diplomatica: «Ancora un poco e mi convinci a diventare cristiano!» (anche se l’interpreta- zione di questa frase abbastanza difficile potrebbe essere un po’ diversa). Così dicendo però am- mette implicitamente che il di- scorso di Paolo ha senso, coe- renza e correttezza. E l’ultima parola registrata negli Atti da parte di un governante in Palestina è chiara: «Quest’uomo poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Ce- sare» (26,32). Con una narrazione avvincente e facilmente leggibile, Luca ribadisce che Paolo non è colpevole, e chiarisce che ormai la prossima tappa sarà Roma. Angelo Fracchia (19-continua )

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